Regra 34, di Jùlia Murat
Il vincitore del pardo d’oro all’ultimo festival di Locarno, Regra 34 di Jùlia Murat, si interroga sul rapporto tra sesso e società, tra moralità e normalità. Dal Fish&Chips di Torino
Bisogna tornare indietro di quasi vent’anni, nella landa distopica (o utopica) che era l’internet degli anni zero, per ritrovare l’origine del nome Regra 34. La “regola 34” è infatti nata in quel periodo, dopo che una versione pornografica di Calvin&Hobbes ha sconvolto un disegnatore tanto da spingerlo a creare una vignetta della sua reazione. «Se esiste, ne esiste una versione porno». Solitamente questa massima fa riferimento a cartoni animati, al mondo delle fanfiction o degli hentai; Júlia Murat allarga l’orizzonte di questo meme rendendolo omnicomprensivo. In una società dominata dal sesso, l’erotismo diventa un mezzo per rivendicare la propria identità.
Simone (Sol Miranda) conduce una doppia vita, di giorno studentessa di legge che difende le donne nei casi di violenza, di notte cam-girl che esplora la propria sessualità con i suoi due amici/amanti. Due vite apparentemente inconciliabili che la giovane donna tenta di far convivere. Mentre a lavoro si scontra con i paradossi di un sistema legale fallace e incapace di difendere le donne, nel privato cresce la sua fascinazione per il BDSM e le pratiche estreme del sesso. In un’escalation di esperienze sessuali sempre più violente, il suo corpo diventa lo strumento della sua battaglia contro il patriarcato.
Verrebbe da dire che Regra 34 fa del porno un atto politico, se non fosse che ogni film porno è in qualche modo esso stesso un atto politico. La scelta di girare una determinata scena con determinati protagonisti, vuole si intercettare una fascia di pubblico interessato, ma allo stesso tempo riconosce e legittima l’esistenza di questo pubblico. Attraverso le riprese stabilisce una norma, rende evidente l’esistenza di determinati kink o pratiche sessuali. Simone, studentessa di legge e quindi abituata a destreggiarsi tra norme e regole, riconosce questo aspetto della pornografia e lo fa suo. Attraverso la sua libertà di scelta, attraverso la sua decisione di performare determinati atti, trova lo spazio di coesistenza tra l’avvocatessa e la pornoattrice.
La normalità è uno dei grandi temi di Regra 34. Cosa può essere considerato normale e cosa no? In uno stato come quello brasiliano, dove la legge privilegia i maschi bianchi, si può dire che l’ingiustizia sia qualcosa di ordinario, di consueto, per definizione di normale. Al contrario le pratiche poliamorose e BDSM sono particolari, non ordinarie, anormali. Questo contrasto sottolinea le contraddizioni di una società che accetta la discriminazione e l’iniquità, ma che discrimina la sessualità che devia da una norma prestabilita, spingendoci a riflettere su che cosa sia considerato una devianza e perché sia così legata al discorso politico.
Se l’audacia nelle riprese e le performance dell’attrice protagonista fanno di Regra 34 un ottimo film, sono la sua capacità di interrogarsi sui problemi della società contemporanea, sulla morale e sulla sessualità che hanno valso a Jùlia Murat la vittoria al festival di Locarno.