Rendez-vous 2018 – L’atelier. Incontro con Laurent Cantet
Dopo la proiezione del suo ultimo film, il cineasta ha incontrato il pubblico del Nuovo Sacher, parlando dei giovani, del loro rapporto con presente e passato e della Francia dopo gli attentati
Nella serata domenicale, a pochi giorni dalla fine del festival Nuovo Cinema Francese, Laurent Cantet ha incontrato il pubblico del Nuovo Sacher, dopo la proiezione del suo ultimo film, L’atelier. Ambientato a LaCiotat nel Sud della Francia, L’atelier racconta la storia di Antoine (Matthieu Lucci), ragazzo difficile e pieno di rabbia, che insieme ad altri giovani della sua età, viene selezionato per un workshop di scrittura tenuto da Olivia (Marina Foïs), famosa scrittrice professionista. Lo scopo del workshop è quello di scrivere e pubblicare un thriller che sappia fare riferimento al passato industriale della città, tema da cui Antoine si sente molto distante. Proprio sulla questione del passato si differenziano le due generazioni presenti del film, incarnate da Olivia e da Antoine. “L’idea del mio film è nata 20 anni fa, un po’ dopo la chiusura dei cantieri navali e delle lotte operaie. All’epoca il comune aveva proposto il progetto di un laboratorio di scrittura per ragazzi “difficili”, e lo scopo era quello di riallacciare il rapporto con un passato che non conoscevano. Avevo da poco finito Risorse Umane dove indagavo il rapporto dei giovani con la cultura operaia. Qui invece mi affascinava l’idea del dispositivo del laboratorio di scrittura, il fatto di ascoltare gli altri, di scambiarsi le idee, di crescere insieme, evolvere e cambiare idea. Tre/quattro anni fa, dopo il Bataclan, ho sentito il bisogno di dare la parola ai giovani per capire come si rapportavano con questo mondo difficile e violento. E quindi mi è ritornato in mente il laboratorio di scrittura de La Ciotat ho deciso di ambientare il mio film lì, un po’ perchè l’idea nata lì, un po’ perchè la città mostra ancora i segni del proprio passato. Ancora si può vedere il cantiere morto che sembra quasi un animale mitologico… Olivia e Antoine fanno parte di due generazioni completamente diverse. Olivia crede che sia ancora utile analizzare il passato per capire il presente, mentre i giovani di oggi non ce la fanno più a sentir parlare del passato, hanno bisogno di concentrarsi sul presente, perchè si sono stufati di sentirsi sempre dire che il passato era migliore“.
“Olivia“, continua il regista approfondendo l’analisi dei suoi personaggi principali, “mi interessava perchè per me incarna il senso di impotenza che noi francesi stiamo vivendo dopo gli attentati. Abbiamo tutti cercato un modo di non separarci, di ritrovare una convivialità. Olivia cerca un contatto, va sempre verso l’altro, magari in maniera un po’ goffa, ma cerca sempre di eliminare una distanza. Questa capacità di Olivia, ma anche il percorso che compie il personaggio di Antoine, hanno reso il mio film un po’ troppo ottimista, sicuramente il mio film più ottimista, ma io ne avevo bisogno, perchè dopo gli attentati ci siamo tutti trovati in un periodo davvero difficile, soprattutto i giovani. Del personaggio di Antoine invece, mi interessava tantissimo restituire la capacità tirare fuori col processo creativo, con le parole scritte, la rabbia, la violenza, la solitudine e la noia che prova. Antoine è un personaggio tosto, che l’attore Matthieu Lucci ha restituito in maniera incredibile, perchè è un attore bravissimo. È venuto da me dopo aver letto la sceneggiatura mi ha detto: “Il mio personaggio è uno stronzo, ma mi piace”. E questo vi da la misura di come l’abbia capito da subito e di come sia riuscito a restituirlo sullo schermo“.
Ma Antoine non è l’unico giovane del film. Ci sono infatti i suoi compagni di workshop, altri ragazzi un po’ persi come lui, che pur essendo personaggi secondari, restituiscono attraverso i dialoghi, una condizione e un sentire comune a moltissimi giovani della società contemporanea. Il regista francese, più che fare delle ricerche vere e proprie prima della sceneggiatura, ammette di essere un grande osservatore: “Io faccio sempre moltissime prove prima di iniziare a girare e devo dire che quando propongo qualcosa, lo faccio sempre sottoforma di ipotesi. Sono gli attori alle prove, con le loro idee che incontrano le mie, ad approvare o no quelle ipotesi. Quando lavoro faccio sempre delle improvvisazioni, e può succedere di cambiare le cose in corso d’opera.
Quando ho fatto il casting ho incontrato centinaia di ragazzi, e tutti mi raccontavano dei tanti lavoretti che facevano senza riuscire a trovare una strada di vita reale. Io credo che dobbiamo smettere di definirci solo ed esclusivamente attraverso il nostro lavoro, superare questa ossessione è necessario, e anche quello che fanno nell’atelier sarebbe già un bel passo avanti. Ma il problema enorme è l’assenza di prospettive. Questo l’ho mostrato nel percorso di Antoine, perchè il personaggio può prendere una strada davvero brutta, facendo diventare il mio film una sorta di thriller, proprio come il romanzo che i giovani devono scrivere al workshop. Antoine è un personaggio spaventoso perchè non sa cosa sta facendo, è totalmente fuori controllo. È in preda alla noia, non ha prospettive. Ed è dall’assenza di prospettive gli estremisti traggono la loro forza”.