Rendez-vous 2023 – Incontro con Albert Serra per Pacifiction

Il regista parla della sua idea di cinema, di come ha costruito il personaggio protagonista del film, e spiega come l’esperienza in sala sia qualcosa di unico. Pacifiction arriva in sala l’11 maggio

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Albert Serra ospite a Roma in occasione dei Rendez-vous – Festival del Nuovo Cinema Francese parla con la stampa di Pacifiction, presentato in concorso a Cannes, un film come suo solito anomalo, suggestivo e pieno di misteri, legato a qualcosa di profondo, un’atmosfera, un respiro che toccano aspetti molto profondi della natura umana, dialogano con lo spazio ed il tempo. Per cominciare racconta come la scelta del soggetto sia l’idea di affrontare qualcosa di diverso. “In realtà all’inizio pensavo che significasse cambiare, poi mi sono reso conto che non è così, perché in fondo in questo paese esotico (la Polinesia francese) equivale ad un sogno, un sogno differente. Pensiamo a tutti gli aspetti legati all’epoca coloniale. Ho voluto girare una realtà non borghese e creare un mondo di fantasia. Prima l’ho fatto girando dei film storici, ed oggi l’ho fatto scegliendo come ambientazione un paradiso lontano in mezzo al mare. Era difficile per me in quel momento aver voglia di girare delle immagini urbane dell’Europa Occidentale, e mi sono detto che avrei potuto usare meglio l’immaginazione introducendo questo esotismo. Anche se poi comunque racconto il mondo di oggi.”

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Il cinema è anche l’occasione di trattare un tema come l’ambiguità, un concetto caro al regista spagnolo, interessato ad esplorare le zone d’ombra, a provocare nello spettatore un’idiosincrasia. Questo oltre che per gli scenari vale anche per i personaggi, ultimo in ordine di tempo quello di De Roller, un alto rappresentante dello stato interpretato magistralmente da Benoît Magimel, pieno di sfumature ed elementi che ampliano lo spettro di genere per inquadrarlo. “Mi piaceva l’idea di descrivere un uomo politico, lontano da quelli di oggi, che sembrano tutti dei robot e quando li senti in televisione sai già cosa diranno, sono terribilmente noiosi e poco interessanti. Ho appreso che negli anni Settanta esistevano questi alti funzionari dediti al tipo di vita che faccio fare a De Roller, che la sera andavano nei night. Oggi la maggior parte dei film sono costruiti per dare una lezione, farci vedere i buoni e i cattivi. Intanto questa suddivisione così netta non è verosimile, poi dal punto di vista visivo lo trovo poco interessante. Io sarei più interessato ad una storia che ci raccontasse gli aspetti negativi dei buoni e quelli positivi dei cattivi. Potrebbe essere interessante un film che ci racconta gli aspetti positivi di Hitler, per esempio, anche se adesso ci sono dei pazzi che penserebbero che esistono davvero questi aspetti positivi! Oppure narrare di un personaggio celebre ricercando i lati perversi.”

Lo stesso discorso vale per la Polinesia, tratteggiata cercando di evitare i cliché, senza la presenza di indigeni innocenti traviati da un Occidente colpevole di aver distrutto il Paradiso. Anche se è vero, è poco interessante, perché elementare. Il tentativo invece è quello di scatenare un caos ideologico. E proprio il personaggio di Magimel è strutturato per far nascere una certa confusione e suscitare un aurea enigmatica intorno a lui, lasciando allo spettatore la possibilità di porsi delle domande. “Mi attira questa idea di deambulare. In fondo tutti i miei film precedenti avevano qualcosa di astratto, mentre stavolta ho voluto introdurre delle note romanzesche. Mi è piaciuto seguire ed accompagnare questo personaggio nelle sue piccole peripezie. De Roller è presente in tutte le scene, non vediamo nessuna scena dove lui non c’è, abbiamo le stesse informazioni che ha lui, sappiamo quello che sa lui, ed è questo che rende il film ipnotico. Siamo realmente al suo interno mentre vediamo il film, siamo ciechi quanto lui e condividiamo tutte le cose che prova lui. I dubbi, la confusione, la tensione sono i nostri, e credo che sia questa la chiave del successo del film, malgrado la sua lunghezza. L’unica scena dove non c’è De Roller è l’ultima, dove scopriamo che c’è veramente un programma di test nucleari.”

Caos ideologico, ipnosi, instabilità. Quale potrebbe essere la reazione degli spettatori ad un mix di fattori così tremendamente destabilizzanti? La risposta secondo Serra viene direttamente dall’essenza stessa di vivere un’esperienza cinematografica in sala. Sul piccolo schermo senti il dialogo, raccogli le fasi salienti, non hai un impatto fisico, non vivi i particolari ma solo i conflitti. Al cinema è molto diverso, ci sono i suoni, le immagini, il ritmo. Tutte queste scelte formali fanno si che attorno allo spettatore venga creato un mondo, che ti provoca delle tensioni. Si esce dal cinema avendo fatto un’esperienza diversa. Certo c’è anche l’aspetto intellettuale, per capire la trama ed il suo sviluppo, però l’effetto è anche fisico. “Oggi se uno decide di andare al cinema deve uscire di casa, prendere l’autobus o la macchina, pagare un biglietto, insomma spende tanto quanto spenderebbe per vedere un film su Netflix, se va al cinema è perché vuole qualcosa di differente, di sorprendente. In futuro credo che coinciderà con il fare un’esperienza dolorosa, perché genera delle difficoltà. Allora perché andarci? Ma anche se soffri per il ritmo è lento, perché è tutto troppo astratto, al cinema non te ne vai, mentre a casa puoi farti un giro in cucina, prendi il cellulare, cambi canale… Mentre al cinema si accetta questa tortura. Quando ci sono questi momenti di anticlimax al cinema, uno comincia a muoversi sulla poltrona, a dare un’occhiata al vicino, ma poi viene fuori questa tensione che prende allo stomaco e fa rimanere. Durante il montaggio mi sono reso conto della lentezza e della durata del film, deliberatamente le ho lasciate. “

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