RENDEZ-VOUS – Incontro con Sophie Blondy per L'étoile du jour


Incontriamo Sophie Blondy a Roma, dove presenta il suo secondo film, L'étoile du jour, per Rendez-Vous. Appuntamento col nuovo cinema francese. E in uno splendido salone dell'Accademia di Francia di Villa Medici racconta il suo lavoro, tra l'esperienza con un cast speciale, su tutti Denis Lavant e Iggy Pop, e la ricerca di una "presenza" nei volti, nei luoghi. "Perché i film sono come bambini, devono essere guidati, ma lasciati liberi di esplorare e trovare la propria strada"

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sophie blondy rendez vousSophie Blondy è a Roma per presentare L’étoile du jour nella sezione Cineasti del presente di Rendez-Vous. Appuntamento con il nuovo cinema francese, sezione a cura di Francesca Bolognesi, dedicata alle opere prime.

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Incontriamo Sophie in un salone di Villa Medici, luogo suggestivo che per questa autrice alla seconda prova rappresenta un fil rouge tra passato e futuro.

 

Venti anni fa, durante un soggiorno romano aveva avuto l’idea per un film che solo adesso, dopo la maturità acquisita con Elle et lui au 14ème étage e L’étoile du jour, mélo onirico di ambientazione circense, sente di poter realizzare: "Un progetto un po' ambizioso, sulla Roma antica e quella contemporanea. In questi giorni a Villa Medici ho fatto molte foto, mi piacerebbe poter girare qui. Ma anche se ho già fatto dei documentari, sono giovane come cineasta, ho realizzato solo due film. Non avrei potuto farlo prima, anche se accarezzo l'idea da tanto".

 

L'étoile du jour ha un cast straordinario, in cui sembri aver riunito quattro profili attoriali riconducibili al cinema d’autore francese: c’è Denis Levant, che è prima di tutto un performer per l’uso straordinario del corpo; Natacha Régnier, che viene dal dramma più classico (lanciata da Zonca in La vita sognata degli angeli), la ribelle irriducibile Beatrice Dalle, sempre inquieta per Chabrol, Lelouche o Assayas, e anche Iggy Pop, spesso totem di tanti film sul rock o influenzati dalla sua estetica…

 

 

C’è anche Tchéky Karyo, che viene dal teatro, ed è un interprete di grandissima esperienza. È vero, è un cast molto eterogeneo e anche difficile da gestire. Essendo dei professionisti vogliono essere messi a parte del processo creativo, partecipare alle scelte, capire cosa tu voglia realizzare con quel progetto. Ognuno ha portato col suo mondo qualcosa di unico, anche quando non era in linea con quanto fatto prima: Natacha, ad esempio, era preoccupata di dover interpretare questa ballerina senza avere alcuna esperienza di danza, ma credo che sia stata una presenza molto eterea, leggiadra, proprio perché più istintiva, senza basi.

 

Quanto a Iggy, l’incontro con lui è stato straordinario e sorprendente. Aveva visto il mio lavoro precedente, con Guillaume Depardieu, e mi aveva detto di averlo amato molto. Quando ci siamo sentiti per L’étoile du jour e gli ho spiegato che tipo di ruolo avevo in mente per lui, questa ‘coscienza’ del protagonista Denis Lavant, mi ha detto di essere un suo grande fan, di averlo apprezzato nei film di Leos Carax, e che poter lavorare accanto a lui era un suo sogno. Sul set è stato rigoroso, concentratissimo. Quando girava c’erano parecchi fotografi che lo circondavano coi loro ‘click’ e lui gli ha chiesto di lasciargli un po’ di spazio, per entrare nel mood, per abbracciare l’aura di questo strano personaggio.

 

Ciò che colpisce di più nel film è la sua grande libertà strutturale, tanto tematica quanto formale. Un tocco innocente e curioso che ricorda il cinema delle origini…

 

Mi fa un enorme piacere questo paragone. Non amo il cinema troppo chiuso, definito, schiacciato dal peso dell’industria. Spesso c’è l’idea – e la percepivo a tratti anche durante le riprese – che il tempo sia tutto, che il calcolo esatto dei movimenti di macchina il dover spiegare “perché metti la camera lì piuttosto che là” prenda il sopravvento sull’esperienza del film. Per me l’improvvisazione è fondamentale, vista erroneamente come un segno di debolezza, di dilettantismo, quando invece è indice di forza. Se sul set puoi cercare di sperimentare, andare in cerca o attendere che si materializzi qualcosa di imprevisto, da catturare sul momento, è solo in virtù dell’enorme lavoro effettuato in fase di preparazione…

 

Dal punto di vista del linguaggio questa libertà che hai ricercato come si è tradotta? Penso alle scene sulla spiaggia, al colore rosa pallido dominante nelle immagini, in cui il paesaggio – il mare, il cielo – sembra fondersi con gli abiti dei personaggi, in particolare di Natacha, dando la sensazione che cercassi di creare un flusso osmotico tra ambiente ed essere umano…

 

 

È stato particolare girare quelle scene. Il mare del nord ha un colore del tutto singolare. Lì abbiamo aspettato che la marea salisse,  e c’è stato un momento in cui tutto era rosa al tramonto, il cielo, l’acqua. Ovviamente non c’era nulla di pianificato ma è proprio questo che intendo quando dico di catturare una certa presenza che è tanto nei luoghi quanto nelle persone. Per la stessa ragione amo accostare nei miei film attori di grandissima esperienza e non professionisti, che mi colpiscano però per un particolare, affine all’atmosfera che voglio dare al mio racconto.

In fin dei conti, credo che i film debbano vivere di vita propria. Sono come un bambino: devi guidarlo, proteggerlo, ma senza sopraffarlo. Bisogna lasciarlo libero di esplorare, sperimentare e lasciarlo andare nel mondo.

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