Renfield, di Chris McKay

Come il suo protagonista, il film di McKay non vuole guide o padroni, anche a costo di apparire vuoto, inerte. E a farne le spese è uno straordinario Nicolas Cage lasciato costantemente fuori campo

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Si inizia subito da una vertigine. Perché Renfield, l’horror comedy di Chris Mckay che ripensa il mito di Dracula dal punto di vista del suo famiglio si apre con un’altra di quelle sequenze imprescindibili dallo spazio digitale su cui spesso ragioniamo. In questo caso, tutto ruota attorno allo straordinario Conte interpretato da Nicolas Cage che sostituisce (meglio, quasi si sovrascrive) quello di Bela Lugosi, muovendosi tra le ambientazioni austere e granulose del classico di Tod Browning, centro di un flashback che probabilmente piacerebbe ad un teorico dell’immagine come Zemeckis.

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Eppure viene da chiedersi se quella di McKay sia stata una mossa vincente. Perché la sensazione è che quel prologo tutto “sintetico” abbia confermato la sua difficoltà di muoversi con sicurezza nel live action. Lo suggeriva in fondo già il precedente The Tomorrow War, fiacco sci-fi derivativo esordio di McKay nel cinema “dal vero” dopo il bel Lego Batman e lo conferma questo Renfield, che parte da un soggetto “di lusso” di Robert Kirkman ma che quasi subito perde tenuta alla ricerca di uno spazio in cui mettere radici, di un padre di cui seguire le orme.

Così la ribellione del giovane Renfield, che nella New Orleans contemporanea decide di prendere le distanze dai soprusi di Dracula e di scrivere da solo la sua storia, magari aiutando una detective a combattere un pericoloso cartello della droga grazie ai suoi straordinari poteri, pare muoversi fin da subito con i tempi dell’ormai classico What We Do In The Shadows di Waititi, tra narrazione in voice over e atmosfera trasognata.

Ed in realtà quello sguardo, quella sensibilità, sembrerebbe essere affine ad un racconto che porta in primo piano le maggiori riflessioni contemporanee su una mascolinità che non ha paura di raccontare le proprie fragilità, su una virilità violenta, aggressiva, messa in parentesi, ma che soprattutto pare intuire uno spunto fenomenale: Renfield tenta in effetti di trasportare nel mondo vero tutto quell’immaginario memetico e grottesco attraverso cui certi modelli di virilità si raccontano oggi sui social, tra Chad e Sigma Male, così da mandarne in cortocircuito le linee a contatto con il Reale.

Eppure è evidente che una linea del genere, sfiorata, fatichi a trovare posto nel racconto. Così tutto non fa che irrigidirsi, a tal punto che gli scambi tra il Renfield di Nicholas Hoult ed il Dracula di Cage perdono sempre più freschezza, sincerità intrinseca e acquisiscano un passo programmatico che sa di internettiano tutorial per sbloccare il proprio vero potenziale.

McKay si accorge probabilmente troppo tardi di non avere la struttura necessaria per poter costruire Renfield a partire dallo script, per questo scarta e ripara fortunosamente nelle parentesi action, nel divertito piglio gore, in un’atmosfera che pare uscita dagli anni ’80 degli horror di Landis. Si tratta, in effetti, del rifugio più sicuro, stabile, per McKay, che forse in quest’approccio così insistentemente artigianale, quasi fuori dal tempo, alle sequenze d’azione, tutte fili nascosti in post produzione, sangue finto, prostetici, ritrova la sicurezza di quel “gesto delle mani” non troppo dissimile dall’animazione, seppur digitale, in cui è nato.

Lì, nei momenti a più bassa fedeltà, McKay trova una quadra per il suo sguardo. Ma è un equilibrio precario. Renfield rimane comunque un film forse più divertito che profondo, incapace di far andare d’accordo lo spazio tematico su cui riflette ed il linguaggio che ha deciso di usare per farlo. Forse anche per questo il film va inesorabilmente in fibrillazione, come se provasse a nascondere attraverso l’accumulazione, di dati, fatti, svolte, una narrazione che manca sempre più il centro della questione, diviene sempre più frettolosa, superficiale.

Tutto pur di finire in fretta, tutto pur di abbandonare uno spazio che McKay percepisce, forse, sempre più estraneo. E allora, forse, alla fine Renfield non può che cadere vittima di uno strano cortocircuito, quello di un film alla costante ricerca di un modello da imitare (di qualcuno “da servire”, direbbe il protagonista), ma che proprio come il suo protagonista non vuole perdere la sua identità a contatto con quello spazio. Anche se quell’identità non prenda mai piede.

E allora il primo a soccombere per l’atteggiamento bizzoso del film è forse proprio Nicolas Cage, come al solito ispiratissimo, gigione, capace, da solo, di mangiarsi il film malgrado uno screen time tutto sommato esiguo. Renfield sarebbe potuto essere retto solo dalle sue spalle. Peccato McKay non riesca davvero a fidarsi.

 

Titolo originale: id.
Regia: Chris McKay
Interpreti: Nicholas Hoult, Nicolas Cage, Awkwafina, Ben Schwarz, Jenna Kanel, Bess Rous
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 93′
Origine: USA, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
Sending
Il voto dei lettori
3 (3 voti)
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