Restos do vento, di Tiago Guedes

Osserva i fatti quasi con compiacimento che lo spinge dentro una visione disfattista, che nega un contrasto alla speranza. Séances Spéciales

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Arriva dal Portogallo una delle proiezioni speciali di Cannes. Tiago Guedes realizza un film cupo, dentro un villaggio pieno di anime nere, impossibili da redimere. L’antefatto è ambientato nel passato, durante una festa pagana, giorno in cui sono permesse in nome della tradizione violenze ed abusi, nascoste dietro delle maschere rituali. Laureano, uno dei ragazzi del paese, viene pestato da altri ragazzi, sotto gli occhi di Judite. Dopo la violenta premessa, realizzata in maniera sin troppo realistica, il film slitta con un ellissi di 25 anni. Quei ragazzi sono diventati adulti, Isabella si è sposata ed ha una figlia, tutti hanno una famiglia, tranne Laureano, rimasto segnato per sempre da quella esperienza. Avvengono dei nuovi fatti criminosi, che non servono ad espandere l’orizzonte tematico, ma per rafforzare una tesi, vengono usati per corroborarla, lasciando una minima parte all’investigazione. Più che a perdonare le colpe, condonare o emettere sentenze di condanna, seguite magari da un perdono, l’intento del regista è quello di dimostrare come il male, una volta messe radici, sia materiale difficile da estirpare, soprattutto quando resta impunito. Lì dove viene seminato cresce, di generazione in generazione, lasciato in eredità di sangue come una maledizione. La questione quindi era: è la malattia che genera il delitto o è il delitto, per una sua natura particolare, che sempre s’accompagna a quella specie di malattia? questo si chiedeva Dostoevskij e questo ci chiediamo anche noi.

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Lo sguardo è inquieto, nervoso, inquinato anche sotto l’aspetto territoriale, i boschi e le strade isolate, i vuoti silenziosi della campagna riempiti incessantemente dal latrato dei cani. Un ritratto pessimista, dove non bastano i tratti di una modernità acquisita per mutare destino, la barbarie cambia soltanto i connotati, compie una trasformazione estita più che etica. Commesso il delitto, manca il castigo. Il velo dell’impunità, troppo sottile per coprire un peccato, si solleverà, lasciando esplodere delle tensioni incontenibili.

Il film di Guedes ha un difetto che è quello di osservare i fatti quasi con compiacimento. Riesce a stento a contenere la confusione, e questo lo spinge dentro una visione disfattista, che nega un contrasto alla speranza. Lascia un segno negativo senza considerare il suo opposto indivisibile, impegnato a trascinare tutti verso il disastro. Un regno malvagio che pure contiene un fascino malato, plausibile. Ed ha anche il merito antropologico di aprire una finestra su un mondo antico, tramandato con poche variazioni, luoghi dove gli usi e i costumi sono difficili da cambiare e sui quali avanzare dei dubbi è lecito e finanche doveroso per combattere contro un’ignoranza difficile da estirpare.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
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Il voto dei lettori
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