Retratos fantasmas, di Kleber Mendonça Filho

Un film che racconta Recife e il cinema, come indissolubilmente legati. Un atto di riappropriazione della città a partire dalle sue immagini . #Cannes76 Scéances spéciales

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Il primo dei ritratti fantasma di Kleber Mendonça Filho è una vecchia foto in bianco e nero di Recife, una veduta dall’alto del quartiere di Setúbal, a pochi metri dall’Oceano. Come al solito, una straordinaria canzone gira intorno. È un incipit che replica le immagini di apertura di Aquarius, dove le note di Hoje di Taiguara si distendevano sulla lunga spiaggia di Boa Viagem. Del resto il lavoro su questo documentario inizia poco dopo quel film del 2016, prima ancora delle riprese di Bacurau. Quindi si pone con tutta evidenza su una linea di continuità. A ribadire come l’urgenza del cinema di Kleber Mendonça sia definire una prospettiva pernambucana sul Brasile, sui luoghi e la loro storia. E di portare avanti una riflessione urbanistica al tempo stesso sentimentale e politica, dove la sensibilità soggettiva riscrive la fisionomia della città, secondo le coordinate delle inclinazioni, dei ricordi, dei desideri, delle nostalgie. Del resto “la città è di chi la abita”, diceva Ugo La Pietra, e perciò ognuno ne ridisegna le mappa lungo gli itinerari dei propri spostamenti. Ma quello che qui compie Kleber Mendonça Filho è, più precisamente, un lavoro sull’immagine della città. Cioè sul rapporto tra lo spazio e le immagini che ne testimoniano le evoluzioni e le derive nel corso decenni. Ma anche sulle immagini che abitano i luoghi, che li attraversano, che nutrono le visioni collettive o riemergono dal tremolio delle proiezioni personali.

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È diviso in tre parti, Retratos fantasmas. Nella prima, la voce narrante di Mendonça ripercorre la storia del suo appartamento nel quartiere di Setúbal. I cambiamenti, le trasformazioni di quella casa, che da oltre quarant’anni è il punto di riferimento della sua vita, naturalmente raccontano una storia di famiglia. A partire soprattutto dalla figura della madre, che alla fine degli anni ’70 decide di trasferirsi in un quartiere affacciato sul mare, per iniziare una nuova vita dopo la separazione dal marito. Siamo dalle parti di Visita ou Memórias e Confissões di de Oliveira: in queste stanze, ogni cosa “pensa”, si carica di un valore emotivo e sentimentale, ogni strato di polvere è un deposito di senso. Ma quella casa è anche il set dei primi corti di Mendonça, girati con gli amici, in piena autonomia e libertà, anche sgangherata. Sono proprio quei film l’archivio di riferimento fondamentale, insieme ai filmati e alle foto di famiglia. E se negli anni cambia la disposizione delle stanze e delle cose, si montano grate alle finestre, secondo le ossessioni di sicurezza degli abitanti del quartiere, si dispongono reti per non far entrare i gatti randagi, a cambiare sono anche le immagini girate da Mendonça, la qualità delle riprese, la precisione della messinscena, la profondità dello sguardo. Tra i “ritratti fantasma” emerge così anche il profilo del regista, che ricompie in parte il suo percorso, fino alle termiti di Aquarius.

Ma più in generale, Kleber Mendonça Filho mette allo scoperto tutto il suo rapporto con il cinema, già come appassionato, spettatore incallito e poi critico. Così, la seconda parte del film diventa una storia delle sale del centro di Recife, ormai quasi tutte irrimediabilmente chiuse. E ripercorrere in lungo e largo le strade di quel centro storico vuol dire ovviamente allargare lo sguardo alla storia, alle trasformazioni e alle crisi urbanistiche e sociali, dei consumi culturali e delle modalità di fruizione. Su questa scia si apre la terza parte, la più breve, che testimonia il riadattamento di alcune storiche sale cinematografiche, vecchi templi della visione, in chiese evangeliche, cogliendo un altro cambiamento sottile nello “spirito” della città.

Insomma, Retratos fantasmas è un film che lega Recife e il cinema in un intreccio indissolubile: strade che invadono le case, fantasmi che emergono tra le vecchie immagini e si riversano sulle strade. E Kleber Mendonça si muove tra queste apparizioni e sparizioni con una tenerezza sconfinata e una delicata ironia, capaci di farsi gioco aperto, come nella splendida scena finale con il tassista, quasi alla Suleiman. Un atto di riappropriazione della città, a partire dalle immagini. A partire dalla sua immagine.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
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Il voto dei lettori
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