"Returner", di Yamazaki Takashi

Un cinema di effetti speciali di grande spettacolarità e poca sostanza, che rilegge senza fantasia modelli noti (“Terminator”, “Leon”), abusando di riferimenti troppo evidenti. Sotto la coltre di stilizzazioni alla moda, resta ben poco di appetibile.

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Yamazaki Takashi è figlio della fantascienza. Ancora adolescente, si innamora del cinema grazie a Guerre Stellari, e i risultati si vedono. Dagli effetti speciali degli esordi passa a dirigere un concentrato di buoni sentimenti e fanta-catastrofico con Juvenile, storia dell'amicizia tra un bambino e un robot e della loro lotta per difendere la terra. Returner, sua seconda prova, pur più ambiziosa, non si discosta di molto dall'identico canovaccio: nel 2084 gli ultimi sopravvissuti del genere umano sono tenuti sotto assedio da una misteriosa e invincibile razza aliena. Nel disperato tentativo di evitare l'estinzione, alla giovane Milly viene assegnato il compito di tornare indietro nel tempo per trovare il primo alieno, atterrato sulla Terra nel 2002. Qui il suo destino si intreccia con quello di un cacciatore di taglie, Miyamoto. L'uomo, di origini cinesi, viene coinvolto dalla ragazzina in una lotta contro Mizoguchi, membro delle triadi e nemico di Miyamoto stesso da quando nel passato rapì e uccise un suo amico. Per bloccare sul nascere i semi della guerra interplanetaria, il loro scopo diventa liberare l'alieno – tenuto prigioniero dagli uomini di Mizoguchi, che vuole trarre profitto dall'extraterrestre.

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Tolti i maquillage di facciata, Returner non è altro che uno spin-off di Terminator realizzato immergendo due protagonisti alla Leon nello stile iper-drammatizzato di Matrix e nei buoni sentimenti di E.T. Ne risulta un cinema roboante, che tritura con decisione l'immaginario futuribile, ormai patrimonio comune, in funzione di sparatorie al ralenti, raffiche di frasi a effetto e pose ultrastilizzate. Non a caso i gadget hi-tech, misto tra gli origami corazzati dei Transformer e i robottoni di Macross, sono l'unico aspetto convincente. Yamazaki, che pure dimostra un ottimo senso del ritmo, manca ancora di quella fermezza necessaria a trasformare la mediocre sceneggiatura, densa di luoghi comuni, in qualcosa di coeso. Sorvolando sugli evidenti limiti (il finale regalerà notti insonni agli appassionati di paradossi temporali), permane infatti una generale sensazione di freddezza, con lo spettatore tenuto a distanza dalle emozioni estreme snocciolate sullo schermo. In parte colpa degli attori (a partire da Takeshi Kaneshiro, inespressivo e ingessato, infagottato in un inscusabile spolverino in pelle nera), ma soprattutto della messa in scena, prona alla voglia totalizzante di spettacolarizzazione fine a se stessa.

Titolo originale: Id.


Regia: Yamazaki Takashi


Interpreti: Kaneshiro Takeshi, Ann Suzuki, Kishitani Goro, Kirin Kiki, Okamoto Yukiko


Distribuzione: Metacinema


Durata: 116'


Origine: Giappone, 2002

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