Revenant – Redivivo, di Alejandro González Iñárritu

Il desiderio cieco e ossessivo di un cinema che cerca il suo limite estremo, quell’utopica linea di coincidenza tra l’artificio e la natura. Ma nella sua sfida, Iñárritu resta a metà del guado

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Le drammatiche e straordinarie avventure di Hugh Glass, trapper ed esploratore, in cerca di vendetta, dopo esser stato abbandonato, dai suoi compagni di spedizione. Quasi sbranato da un orso, quasi seppellito vivo, dato ormai per spacciato, Glass non è più nulla, né carne, né scheletro. Non ha più nulla, famiglia, cavallo, armi, pelli. E non è da nessuna parte, né tra i vivi né tra i morti. Si aggrappa solo al suo respiro e all’ossessione della vendetta. Si rimette in piedi, riesce ad attraversare un territorio inospitale, quel Nord Dakota abitato dai Pawnee e dai Ree, dalle stremate e odiose truppe governative e da orde di cacciatori più fuori che dentro la legge. E ritorna alla luce. Puntuale all’appuntamento con Fitzgerald, l’uomo che lo aveva condannato alle tenebre del nulla.  È la stessa storia, vera, alla base di Uomo bianco, va’ col tuo dio (Man in the Wilderness) di Richard C. Sarafian, romanzata da Michael Punke nel 2003, e riscritta da Iñárritu e da Mark L. Smith, in cerca di un altro colpaccio. Perché il potenziale è devastante: una vicenda appassionante, un uomo in lotta con la natura e con la parte oscura di sé, che attraversa il lato selvaggio e leggendario della storia di una nazione che ancora non esiste. Il cinema al suo massimo grado di potenza.

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the revenant3L’occasione è allettante. Ed ecco che, dopo l’estenuante Birdman, Iñárritu si lancia in un altro tour de force. Riprese effettuate in condizioni ambientali proibitive, tra i ghiacci del Canada e della Terra del fuoco, anche a 30 gradi sottozero. E poi l’utilizzo della sola luce naturale, con la fotografia di Lubezki che ancora una volta sparge meraviglie. L’idea originale, inoltre, era di rispettare, in produzione, l’ordine cronologico delle vicende, obiettivo poi in parte ridimensionato proprio per le difficoltà climatiche. Ma il senso della sfida rimane intatto. Il desiderio cieco e ossessivo di un cinema che cerca il suo limite estremo, quell’utopica linea di coincidenza tra l’artificio e la natura, tra la riproduzione “artistica” e il mondo così com’è (o come è stato), tra la finzione e la realtà. È quella tentazione che attraversa, puntualmente, la storia del mezzo, che prova a fare il salto dall’universo ideale dell’espressione a quello materiale delle cose concrete. Con tutti i paradossi e le condanne che ne conseguono. Perché se nella purezza vergine di quelle foreste e montagne innevate, se nel ritorno ai sacri territori del Genere dei generi, Iñárritu sembra sognare la rinascita a una nuova vita, quasi fosse un altro battesimo, è pur vero che Revenant conserva tutti i limiti e le zavorre di un cinema che non sa mai liberarsi dalle pesanti architetture dello stile.

the-revenant2Certo, dopo il pirotecnico spettacolo di Birdman, Iñárritu pare ridimensionare, in un certo senso, la complessità pretestuosa dei discorsi, la sua ambizione autoriale. Quanto meno sembra concentrarla definitivamente sulla forma, su un’estetica che aspira quasi alla dimensione morale della verità. Riesce anche a essere convincente, soprattutto nel modo in cui si aggancia agli scenari e all’immaginario western degli anni ’70, in cui la frontiera diventa innanzitutto una questione interiore e la durezza del mondo si riappropria degli spazi sottratti al mito. Ma resta a metà del guado. Perché non sa rinunciare ai virtuosismi e ai trucchi della messinscena, alla tentazione del tocco di classe, del movimento di macchina sinuoso tra gli alberi o dell’effetto speciale ammiccante. Nell’attimo stesso in cui sembra toccare la densità della materia bruta, lascia spazio al sovrannaturale lubezkiano che sembra ormai un marchio di fabbrica, a quelle voci che arrivano da un altro spazio tempo, come fossimo ancora, sempre in Malick. Predica la purezza, ma non ha il coraggio radicale di liberarsi dall’ornamento per arrivare dritto all’essenziale. Ha bisogno del trucco, della performance, a cominciare da quelle di DiCaprio e Tom Hardy, senz’altro straordinari, ma anch’essi sotto sforzo, per forza di cose. Resta l’impressione di un bellissimo film e di un Iñárritu, heart of glass, che manca il bersaglio e continua a restare imprigionato tra le pareti finte dello spettacolo. Forse, a questo punto, il più grande regista iperrealista.

 

Titolo originale: The Revenant
Regia: Alejandro González Iñárritu
Interpreti: Leonardo DiCaprio, Tom Hardy, Domhnall Gleeson, Will Poulter, Forrest Goodluck, Paul Anderson
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 156’
Origine: USA, 2015

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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