Ritmato dalle pagine dell’omonimo romanzo di Richard Yates, magistralmente adattato per lo schermo da Justin Haythe, e fotografato da Roger Deakins, il quarto lungometraggio di Mendes è un’opera perfetta, una gelida sinfonia sulla fine di un rapporto matrimoniale che suona come il tramonto di un’epoca, di un mondo che si dissolve lentamente al calore dei corpi “bergmaniani”, o forse addirittura fassbinderiani, dei due protagonisti
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"Scene da un matrimonio". Un uomo ed una donna nella provincia americana anni ‘50. La macchina da presa inquadra una cittadina del Connecticut con sguardo notturno ed aereo, poi scende pian piano fino a frugare fra i volti della gente comune che partecipa ad una festa da ballo e trovare i corpi di un uomo ed una donna. Figure tra la folla destinate ad incrociarsi definitivamente sotto il fuoco bruciante dell’obiettivo cinematografico. Poi l’uomo e la donna, l’interno di un’auto, la messa in scena che avvolge i corpi mentre le voci si incrociano all’ombra di un parabrezza che sembra celare un universo di sogni infranti e aspettative di vita fuggite o evitate. Infine, ancora uno specchietto di auto, un corpo che passa, la donna che osserva attraverso il vetro di una finestra, e la folla di uomini grigi che torna a “sfumare” e offuscare l’amore e la vita desiderata. Sembra l’inizio di un film della Hollywood degli anni d’oro quello di Revolutionary Road, un incipit che precipitando poi nella provincia yankee richiama alla memoria i film di Douglas Sirk o Delmer Daves, invece siamo all’interno dei fotogrammi dell’ultimo film di Sam Mendes, forse il più geniale “de-costruttore” e cantore della fine dell’american way of life. Ritmato dalle pagine dell’omonimo romanzo di Richard Yates, magistralmente adattato per lo schermo da Justin Haythe, e fotografato da Roger Deakins, il quarto lungometraggio di Mendes è un’opera perfetta, una gelida sinfonia sulla fine di un rapporto matrimoniale che suona come il tramonto di un’epoca; di un mondo che si dissolve lentamente al calore dei corpi “bergmaniani”, o forse addirittura fassbinderiani, dei due protagonisti: Leonardo Di Caprio e Kate Winslet. Eppure, nonostante la precisione dei dialoghi, il meccanismo ad orologeria di una sceneggiatura che esplode pian piano inesorabilmente, e la bravura dei due interpeti principali – ma anche Kathy Bates e Michael Shannon sono eccezionali -, Revolutionary Road è soprattutto una lezione di stile, un film dove la caduta di un mondo è sempre e soltanto questione di messa in scena, lotta perenne fra i corpi dei due coniugi e le superfici dello schermo che sembrano separare e dividere gli sguardi. C’è sempre un vetro a filtrare ogni sentimento (la Winslet che guarda quasi sempre incorniciata da una finestra, uno specchio, un finestrino…), un volume trasparente a raffreddare l’occhio, uno spazio vuoto (trasparente?) a segnare la distanza incolmabile fra i sogni e gli affetti, i desideri e la carne. Revolutionary Road, come Era mio padre e Jarhead, è un film di luce (Deakins si conferma decisamente il miglior “fotografo” in circolazione…) e “false” aderenze, di prospettive interrotte, un sottile meccanismo di decostruzione del cinema “classico”. De-costruzione che, scomponendo e rompendo attraverso le molteplici rifrangenze ogni possibile sguardo unitario (degli attori, dello spettatore e del regista…), riscrive il cinema americano nella carne di corpi che divengono metafore di una società polifonica e popolata da molteplici “forme di vita”. Così, la folla di King Vidor sprofonda e rinasce dalle macerie dei corpi e degli affetti di Di Caprio/Winslet…
Titolo originale: id.
Regia: Sam Mendes
Interpreti: Kate Winslet, Leonardo Di Caprio, Kathy Bates, Michael Shannon, Kathryn Hahn, David Harbour
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Distribuzione: Universal
Durata: 119'
Origine: Usa/Gran Bretagna, 2008
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Grandissimo film…. sono d'accordo con l'accostamento a Bergman e Fassbinder, ma anche King Vidor. Davvero un ottima recensione
"Revolutionary Road, è un film di luce e “false” aderenze, di prospettive interrotte", accidenti da quanto non leggevo una critica così stimolante! Fatelo scrivere di più il Siniscalchi!