#RomaFF10 – The Confessions of Thomas Quick, di Brian Hill

Pur immergendo la sua opera in una pesante dimensione televisiva, Hill ha la fortuna, con The Confessions of Thomas Quick, di aver trovato un protagonista che cambia letteralmente davanti al pubblico.

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Il documentarista Brian Hill, nel suo viaggio nella fredda Svezia, s’imbatte in una storia talmente assurda da far fatica a credere che sia reale, un racconto raccapricciante in cui due protagonisti si alternano in scena. Il primo è Thomas Quick, cannibale, pedofilo e sadico, il più grande serial killer della storia svedese, l’orco perfetto nascosto dietro un fasullo nome da battaglia. Il secondo è Sture Bergwall, uomo segnato dalla solitudine e dalla depressione, disgraziato spinto dalla tossicodipendenza in un circolo autodistruttivo di criminalità disperata e isolamento, paziente alla ricerca di considerazione e affetto. Il mostruoso Thomas e il triste Sture sono la stessa persona. Forse. Sin dalle prime battute, con The Confessions of Thomas Quick, Brian Hill sembra muoversi in qualcosa di estremamente noto. Pur con gli strumenti del documentario, il regista s’inserisce nel fortunato filone del giallo scandinavo che, attraverso i bestseller di Jo Nesbo, Camilla Lackberg e Henning Mankell, ha regalato una nuova variante glaciale del giallo classico. Davanti agli occhi dello spettatore si sviluppa la vicenda del mostro che, segnato da un folle e terribile trauma infantile, si è macchiato di una lunga, sconclusionata sequenza di omicidi, ricostruiti dopo anni nel percorso di terapia guidato dagli psicanalisti più all’avanguardia. La pellicola, però, prende all’improvviso una piega sorprendente e diventa non più (o non solo) l’ennesimo episodio da Crime Tv, ma una dura e implacabile analisi sul sistema “perfetto” scandinavo, sulle ombre del mito della socialdemocrazia nordica che degrada nell’opportunismo, nell’ambizione, nell’ipocrisia travestita da pietismo. Pur immergendo la sua opera in una pesante dimensione televisiva, resa manifesta e fastidiosa dalle ingenue ricostruzioni televisive e dalle interviste ai protagonisti, Brian Hill ha la fortuna di aver trovato una storia decisiva, forse meritevole di una grande pellicola di finzione, e soprattutto un protagonista che cambia letteralmente, fino alla commovente catarsi finale.

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