Ripley, di Steven Zaillian
La serie unisce l’on the road e il noir, ed è costruita con una cura tangibile. Purtroppo risente delle scelte produttive figlie del binge watching e delle piattaforme, perdendo valore. Su Netflix
Nella New York del 1961 Tom Ripley vive (o sopravvive) tentando truffe, attraverso firme false e piccoli escamotage. D’improvviso un detective privato lo ingaggia per comunicargli che un tale Herebert Greenleaf, ricco imprenditore, lo sta cercando per un lavoro da proporgli. Si tratta di andare in Italia, ad Atrani, per cercare suo figlio Dickie Greenleaf e convincerlo a tornare a New York. Lì Dickie vive con la scrittrice e poetessa Marge, trascorrendo le giornate per lo più in spiaggia, bevendo e parlando di arte. Tom accetta immediatamente l’incarico, convinto dalla generosità di Herbert nell’offrire un viaggio all inclusive. Ecco che quindi New York – quella descritta nei romanzi di James Baldwin – immediatamente sparisce. Ma una volta in Italia Tom inizia a formulare un piano per rubare l’identità (materiale e psicologica) di Dickie.
Assumere la vita dell’altro e perdere le proprie tracce. Cancellare la propria identità e rubare la vita altrui. Questi i temi fondanti della mente di Tom Ripley, personaggio al centro del romanzo di Patricia Highsmith del 1955 da cui è tratta la serie, che con una scaltrezza millimetrica e psicopatica riesce in questa rocambolesca impresa uscendone pulito. La sua in effetti è una mente tagliata per la truffa e per l’appropriazione, in una chiave di contorto fascino per il lusso come forma di rivalsa. Il viaggio in Italia è coronato dalla scelta estetica di Steven Zaillian (sceneggiatore di The Irishman, American Gangster e Gangs of New York) nel girare l’intera serie in bianco e nero. Questo ci suggerisce immediatamente un continuo omaggio al noir degli anni ’40 e al senso dell’intreccio, del mistero. E in effetti la definizione di noir nei confronti di Ripley calza benissimo perché, anche se lontani centinaia di chilometri dagli Stati Uniti (patria del cinema classico), i caratteri generali della serie restituiscono un certo fascino retrò. Ma allo stesso tempo il linguaggio della piattaforma non è mai assente ed ecco che viene a crearsi un mix postmoderno tutto nuovo.
L’Italia che Tom attraversa, quella dei primi anni ’60 nel pieno boom economico, viene descritta continuamente dagli interni spaziosi e barocchi delle case d’epoca, dai capolavori nascosti nelle più piccole delle chiese. Il fascino per Caravaggio (personaggio che nella serie prende vita propria) e le sue opere costituisce un fil rouge che lega tutta la serie e che ammalia lo spettatore di una perpetua Sindrome di Stendhal. Da Roma a Palermo, sino a Venezia, la penisola è attraversata da questo sguardo attento a cogliere ogni minimo spunto scenografico per raccontare altro. Inoltre è impossibile non notare il flusso di citazioni letterarie e filmiche che compongono Ripley. Edgar Allan Poe, Murnau e Fritz Lang, Humprey Bogart. Nel tessuto della serie si iscrivono moltissimi influssi poi trasposti, che aggiungono spessore a un prodotto curioso e interessante come questo.
Uno degli elementi che più hanno incuriosito il pubblico del nostro paese è stato la presenza di un nutrito cast italiano. Tra loro troviamo Marghetita Buy che interpreta la padrona di casa a Roma, che con questa performance offre un leggero slancio post-neorealista. Ma il nome di punta in Ripley, oltre ovviamente a Andrew Scott, è senza dubbio Maurizio Lombardi. Qui interpreta Pietro Ravini, l’ostinato ispettore incaricato di risolvere il caso di omicidio di Freddie, ucciso da Tom/Dickie nell’appartamento romano. Lombardi veste i panni del più canonico ispettore crudo e testosteronico, e che tramite un sorprendente bilinguismo (per forza di cose presente in tutta la serie) naviga nel mare in tempesta che è il caso di omicidio/scomparsa. Solo il cliffhanger degli ultimi istanti di Ripley apre delle piste nuove all’ispettore Ravini, anche se forse troppo tardivamente …
La serie di Zaillian segna una nuovo tappa nella filiera delle produzioni di prodotti nati dal binge watching. Ripley soffre, forse troppo, di questa scelta produttiva in termini di fruizione; seppure le modalità “leggera” di costruzione (giallo/noir) la rende comunque una serie godibile e diretta, che non smarrisce mai le tracce e il focus centrale.
Titolo originale: id.
Creata da: Steven Zaillian
Interpreti: Andrew Scott, Johnny Flynn, Dakota Fanning, Vittorio Viviani, Bokeem Woodbine, Eliot Sumner, Maurizio Lombardi, John Malkovich, Margherita Buy
Distribuzione: Netflix
Durata: 8 episodi da 50′ circa l’uno
Origine: USA, 2024