Ritorno a casa : il nuovo cinema mandarino di Ann Hui e Fruit Chan
Due degli autori più importanti del cinema cantonese recente, critici nei confronti della politica della madrepatria, tornano alle radici e riscoprono la levità e la delicatezza di quei valori che per anni hanno giudicato: la famiglia che si disgrega, il contesto anti-urbano e un sentimento forte di appartenenza alla cultura popolare della Cina.
Adottati da Hong Kong e dalla sua industria cinematografica, Ann Hui e Fruit Chan, nati rispettivamente in Manciuria e a Canton, ma fin da adolescenti esuli per tutto il Sud Est asiatico, tornano a casa, da vincitori. Entrambi autori scomodi, artefici di un cinema senza compromessi, rabbioso, capace di fustigare i malcostumi del regime di Pechino e delle angherie che, da lontano, apprendevano – e deprecavano – dalle pagine dei quotidiani, preoccupati per la prossima riannessione, nel vicino 1997. Chan, per esempio, ha diretto nel 1998 The Longest Summer, uno dei documenti più importanti del sentimento di spaesamento post-riannessione. Ancora più furenti gli esordi della Hui, appartenente al movimento della New Wave dei primi anni ottanta: la denuncia del crudo capolavoro Boat People (1982) si stempera col passare degli anni in una filmografia che tende una mano, non senza scetticismi, al cinema mandarino di cui oggi entra ufficialmente a far parte.
Il salto della barricata avviene con due pellicole tanto intense quanto sottovalutate. Se infatti Bliss (2006), diretto da Sheng Zhimin ma prodotto da Chan, ha potuto godere di un passaggio festivaliero di rilievo – anche a Locarno, la scorsa edizione –, The Postmodern Life of My Aunt (2007) della Hui non è quasi uscito dai confini nazionali, nonostante la presenza in locandina di due nomi attira-incassi come Chow Yun Fat e Vicky Zhao. Il tema che le due opere affrontano è il crollo dell’istituto familiare, troppo compresso tra idiosincrasie e patemi d’animo per poter sopravvivere alle aspettative e al suo ruolo di stabilizzatore (statale).
Bliss è un affresco corale amaro e sfaccettato. Un poliziotto, da poco risposatosi, vive una quotidianità complicata: il primo figlio assiste al tradimento della moglie, che poi si ammala di cancro; il secondo, traviato dalle cattive compagnie, è in cerca di stabilità. Sheng, e con lui Chan, riflette sul senso del legame di parentela in una Cina che confronta la modernità dei grattacieli e le proprie tradizioni morali, celando la sofferenza quotidiana dietro toni intimisti. E’ un film da festival, ma perfettamente riuscito, a partire dalla pacatezza degli sguardi, dalle location da documentario e dalla splendida fotografia che tende al verde. Sceneggiatura di Gu Zheng e del regista, al debutto, ma già sul set con Jia Zhangke.
Ancora più ironica la regia di Ann Hui, che delle disfunzionalità domestica si fa esplicitamente beffe prendedo spunto da un romanzo di Yanyan. La sua protagonista è una donna matura, per certi versi sfiorita per altri ancora piacente, tanto da attrarre un imbroglione che nell’adularla come la madre perduta le sfila soldi e speranze. L’iter della «zia» del titolo, intepretata dalla bravissima Siqin Gaowa, è un romanzo di formazione al contrario, fatto di opera pechinese, figlie irriverenti, nipoti sfigati e delusioni dietro l’angolo. Lo sguardo umile, sia della regista che degli interpreti, sancisce, dal basso, come i cambiamenti della cinesità moderna – concetto transnazionale da sempre difeso da Ann Hui: indipendentemente da lingua, nazionalità ed etnìa il popolo cinese possiede una matrice comune il cui imprimatur è ben definito – siano in primis quelli interiori.
Dalle stesse premesse di ibridazione parte Curiosity Kills the Cat (2006, di Zhang Yibai), prodotto al 100% della Repubblica Popolare, che percorre però a ritroso. Parte infatti da un discorso concettuale sul disgregamento di un matrimonio e cesella un crudele ritratto caratterizzato dai generi (il thriller) che sfocia nel sangue e nella scorrettezza. In questo caso è il cinema «mainlander» più tradizionale, attraverso la sensibilità di un autore da sempre interessato alle tendenze fuori patria – con l’esordio Spring Subway, del 2002, si ispirava molto a Wong Kar-wai –, ad azzardare un tentativo di commercializzazione exploitation che deve, a partire dalla protagonista Carina Lau e dal montaggio ellittico, quasi tutto all’esperienza hongkonghese.
Il nuovo cinema mandarino «made in Hong Kong», di cui la Hui e Chan si fanno in qualche modo alfieri, non è dunque più necessariamente legato ai soli ipertrofici blockbuster d’azione di Zhang Yimou, Feng Xiaogang e Cheng Kaige. Si sta aprendo uno spazio popolare, dagli incoraggianti risultati iniziali, per uno scambio interculturale di idee e competenze, e per una fusione tra la corsa all'impazzata dei generi e la dimensione autoriale che rallenta i ritmi. Ora tocca al pubblico decidere se si tratti di una scelta vincente.
FILMOGRAFIA
Bliss
Titolo originale: Fu sheng
Paese: Repubblica Popolare Cinese
Anno: 2006
Regia: Zheng Shimin
Sceneggiatura: Zheng Shimin, Gu Zheng
The Postmodern Life of My Aunt
Titolo originale: Yi ma de hou xian dai sheng huo
Paese: Repubblica Popolare Cinese
Anno: 2007
Regia: Ann Hui
Sceneggiatura: Ann Hui, Li Qiang
Curiosity Kills the Cat
Titolo originale: Hao qi hai si mao
Paese: Repubblica Popolare Cinese
Anno: 2007
Regia: Zhang Yibai
Sceneggiatura: Zhang Yibai, Huo Xin
DOVE ACQUISTARE
Di Bliss si trova online una scarna edizione hongkonghese, in lingua originale con sottotitoli in inglese, uscita per