Ritratto di un certo Oriente, di Marcelo Gomes
Il raffinato bianco e nero del regista brasiliano diventa strumento per raccontare l’intersezione tra particolare e universale. Forse un po’ grezzo in alcuni passaggi, ma doloroso e mai conciliante.

È una condizione di finta stasi quella che domina la prima parte di Ritratto di un certo Oriente, il nuovo film di Marcelo Gomes tratto dal romanzo omonimodi Milton Hatoum. Una immobilità “farlocca” dovuta alle due imbarcazioni trasformate in set, necessarie a raccontare le due tappe del viaggio che, a partire dal Libano, conduce i fratelli cattolici Emir e Emilie prima in Brasile e poi, più nello specifico, nella città di Manaus – per fuggire dalla guerra che, nel 1949, sta per devastare il paese natio dei due ragazzi.
Sfruttando al massimo il curatissimo bianco e nero di Pierre de Kerchove e muovendosi dunque tra l’ultimo Cuaròn cinematografico – Roma – e alcune intuizioni visive che sembrano provenire direttamente da Lav Diaz, il cineasta lavora così tra particolare e universale, raccontando i legami d’amore, d’amicizia e fratellanza che caratterizzano il percorso di Emir, Emilie e i loro “compagni”, ma riuscendo al contempo ad aprire, specie nella prima parte di film, alcuni squarci sulla Storia di guerre e flussi migranti grazie ad alcuni ispirati momenti-intervista, durante i quali alcune comparse dell’opera rivolgono lo sguardo fuori campo e sembrano rispondere alle domande di un interlocutore che, però, rimane celato al nostro sguardo.
Sebbene gestisca in maniera un po’ grezza il turning point drammatico posto al centro della narrazione – l’accidentale ferimento di Emir da parte di Omar – e tenti poi forse di affastellare fin troppi spunti all’interno di un minutaggio tutto sommato ristretto (l’invasione della foresta da parte dell’uomo bianco avrebbe forse meritato qualcosa in più di un semplice accenno), Ritratto di un certo Oriente ha inoltre l’intelligenza di lasciare che sia innanzitutto l’immagine a farsi portatrice del suo messaggio. Che, ben lontano dal desiderio di risultare conciliante – seppur rivolto alla celebrazione di una voglia di ecumenismo che si esprime nella sovrapposizione di riti e preghiere distanti (?) solo nella gestualità – non si astiene tuttavia dal rivelare il male che, serpeggiante, si nasconde persino tra le pieghe di destini simili, intrecciati da una comune sofferenza.
Come in quella magnifica inquadratura che, a pochi minuti dalla celebrazione del matrimonio di Emilie, mostra Emir davanti a uno specchio, dilaniato dalla lotta tra l’amore per la sorella e l’odio generazionale nei confronti del futuro cognato. Che vede poi cristallizzata nel montaggio in chiusura dell’opera, e quindi nel cinema, la sola possibilità di salvezza di un male da cui, talvolta, è però impossibile guarire del tutto.
Titolo originale: Retrato de um certo oriente
Regia: Marcelo Gomes
Interpreti: Wafa’a Celine Halawi, Charbel Kamel, Zakaria Kaakour, Eros Galbiati, Rosa Peixoto
Distribuzione: Kavac Film
Durata: 93′
Origine: Brasile, Italia, Libano, 2024