Ritrovarsi a Tokyo, di Guillaume Senez
Un’opera sincera nelle intenzioni e toccante nel contenuto ma che rimane vittima di un certo didascalismo formale, mancando quell’ideale “profondità di campo” nella riflessione sui temi trattati

Il tema del divorzio e la questione dell’affidamento congiunto dei figli sono da tempo argomenti trattati dal cinema mainstream occidentale sotto diverse forme e punti di vista. Partiamo da Kramer contro Kramer di Robert Benton, passando da Mrs. Doubtfire di Chris Columbus e La guerra dei Roses di Danny De Vito, fino ad arrivare al più recente Storia di un matrimonio di Noah Baumbach.
Guillaume Senez, regista francese alla sua seconda regia internazionale, decide di spostarsi verso lidi meno conosciuti concentrandosi sulla controversa legislazione giapponese legata all’affidamento dei figli di coppie il cui matrimonio è ormai al capolinea. Al centro del racconto c’è Jay, un uomo di nazionalità francese che percorre da anni Tokyo in lungo e in largo a bordo del suo taxi, sperando di ritrovare sua figlia Lily. Il suo matrimonio con una donna giapponese è, infatti, naufragato anni prima. In Giappone, però, la legge non prevede l’affido congiunto e la moglie non ha intenzione di fargli rivedere Lily: l’unica possibilità che ha Jay di riabbracciare la figlia è incontrarla per caso nella grande metropoli. Ma quando ha perso ormai tutte le speranze ed è sul punto di ritornare in Francia, il destino sembra finalmente offrirgli un’occasione straordinaria…
Dopo Le nostre battaglie Guillaume Senez torna a dirigere Romain Duris in un film dalla potente carica emotiva che prova, a suo modo, a raccontare il Giappone di oggi da un punto di vista inusuale, in cui convivono luci e ombre. Duris, impeccabile nel ruolo di padre desideroso di ritrovare la figlia perduta, pare che abbia studiato per mesi il giapponese per affrontare il ruolo nel modo più credibile possibile. Senez cala all’interno del contesto di riferimento, mostrando una Tokyo la cui essenza sembra risentire fortemente dell’immaginario contemplativo creato e sviluppato da una pellicola come Perfect Days. Poco male per un film fatto di attese, di meditazione e riflessione sulla vita e sulle proprie scelte. Jay è un uomo che ha perso tutto e che ha fatto dell’osservazione meditativa della bellezza statuaria della capitale giapponese la sua arma principale per continuare a vivere. Ma quello che più manca al film di Senez è quella parte rappresentata dal non detto, dalla potenza del cinema in grado di mostrare e raccontare una condizione umana. Invece, Ritrovarsi a Tokyo rimane troppo spesso vittima di un certo didascalismo formale, costretto a sottolineare con i dialoghi ciò che il cinema saprebbe raccontare benissimo da solo. Manca quell’ideale “profondità di campo” nella riflessione sui temi trattati dal film che restano ancorati alla superficie. Sembra che il film di Senez, sicuramente sincera nelle intenzioni e toccante nel contenuto trattato, non riesca a superare la scorza emotiva più superficiale della narrazione, per riuscire finalmente ad addentrarsi nel territorio cinematografico riservato all’anima e all’essenza più intima delle relazioni umane.
Titolo originale: Une part manquante
Regia: Guillaume Senez
Interpreti: Romain Duris, Judith Chemla, Mei Cirne-Masuki, Yumi Narita, Shungiku Uchida, Tsuyu Shimizu, Patrick Descamps, Shinnosuke Abe, Morio Agata, Eriko Takeda
Distribuzione: Teodora Film
Durata: 98′
Origine: Belgio, Francia, Giappone, USA, 2024