Riviera Film Festival 2025 – Incontro col cast di Romanzo criminale: La serie
L’evento ha ospitato alcuni dei protagonisti della serie cult di Stefano Sollima, tratta dal testo di Giancarlo De Cataldo, per una riflessione sul panorama seriale italiano

Nella tarda mattinata di ieri, all’interno dello scenario del Duferco Lounge, protagonista insieme allo storico Cinema Ariston della nona edizione del Riviera International Film Festival, si è tenuta la reunion di una delle primissime serie televisive nostrane, capace di compiere il grande salto, divenendo quasi immediatamente e poi nel corso del tempo un vero e proprio fenomeno di massa, ossia Romanzo criminale di Stefano Sollima. Presenti all’appello Francesco Montanari (Libanese), Alessandro Roja (Dandi), Edoardo Pesce (Ruggero Buffoni) e Marco Bocci (commissario Nicola Scialoja), che in compagnia di Roberto Pisoni e Denise Negri di Sky Italia, hanno discusso dell’effettivo lascito della serie e così dei suoi effetti, tanto rispetto ai suoi interpreti, quanto agli spettatori.
La riflessione probabilmente meno attesa, soprattutto all’interno di un contesto inevitabilmente celebrativo e in qualche modo nostalgico – proprio in virtù della mancanza di una serie come Romanzo criminale guardando all’odierno panorama televisivo nostrano – giunge da Edoardo Pesce, che scansando ogni equivoco racconta al pubblico: “… c’è chi si è fomentato nel corso di questi anni, rintracciando qualcosa di eroico in personaggi che di eroico non avevano proprio niente. Qualcuno addirittura mi confessava d’essere il parente di qualche criminale, come a dire ‘sono vicino a quello che sei stato’. Appunto, che sei stato. Nella finzione. Ancora oggi accade però che ci si fomenti per qualcosa di evidentemente antieroico e criminale. È necessario chiedersi perché. Io, in quanto Buffoni, venivo riconosciuto per la strada, oggi è lo stesso. C’è chi ancora mi guarda e vede quel personaggio, rintracciando nella sua portata criminale qualcosa di evidentemente attrattivo, eppure così non è. Si ripete la medesima situazione con la trap. Per esempio con quello che fa la Dark Polo. Romanzo Criminale però era scritta bene, molto bene. Credo che tutto questo comunque sia riconducibile ad un vuoto culturale di fondo, quindi alla necessità di appropriazione. Tornando alla serie, ancora oggi la gente se la passa come se fosse un buon libro. Perché? A mio modo di vedere, tocca temi universali, dall’amicizia al tradimento, fino alla gelosia. Qualcosa che rintracciamo in Shakespeare e che lì si è fatta tv. Attecchisce ancora oggi”.
Francesco Montanari poi, interrogandosi circa la possibilità dello spoiler, nonostante gli anni ormai trascorsi dalla messa in onda della prima stagione di Romanzo criminale torna alla morte – è il caso di dirlo – epica del suo personaggio, il Libanese. “Non so se l’ho mai detto a Sollima. Ho sempre cercato di lavorare al personaggio, considerando l’ultima scena della serie che non voglio spoilerare, ma forse posso spoilerare essendo passati diciassette anni. Quella in cui il Libanese ormai distrutto e solo, nonché auto divorato da sé stesso, pieno di paranoie e abbandonato da tutti, raggiungendo la casa della madre e prossimo a raggiungere una morte piuttosto epica, vorrebbe dirle finalmente di aver commesso ogni azione solo ed esclusivamente per lei. Come sappiamo – e sapete – la madre quella porta non la aprirà mai e il Libanese morirà. Quindi io ho sempre pensato al mio personaggio come ad un uomo di strada, frammentato moralmente e al tempo stesso solidissimo. Il Libanese infatti pur di essere riconosciuto dalla madre, fa quello fa, nella speranza di una conferma e di una famiglia che però non sarà più, proprio perché ben conosciamo la distanza della madre. Nel mezzo però tutta una serie. E solo per dirlo, ho dovuto fare ben sette provini per ottenere quel ruolo. Cosa mi ha chiesto Sollima per dar vita realmente al personaggio? Di lavorare sullo sguardo, che io ho raggiunto facendo probabilmente anche qualcosa di sporco nelle mutande e lì nasce l’intuizione dello sguardo del Libanese, che poi è diventato maschera”.
Se Francesco Montanari del periodo di lavorazione sembra ricordare tutto o quasi, ad aver dimenticato – si fa per dire – è Marco Bocci, che a proposito del suo approccio alla serie e al suo commissario Nicola Scialoja racconta: “La cosa che mi rimane in mente è una domanda che mi è capitata spesso e che mi ha messo in discussione il più delle volte, spingendomi addirittura a pensare d’aver sbagliato tutto. Perché spesso mi veniva fatta la domanda rispetto all’unico personaggio positivo della serie, appunto il mio commissario Scialoja. Domanda che ho sempre considerato problematica, perché mentre giravo la serie non riuscivo a vedere mai in lui un personaggio positivo, certamente uno che non apparteneva alla banda, ma mai positivo. Un effettivo contraltare della criminalità, torvo, combattuto e introverso. Chiuso in se stesso, perciò perché doveva raccontare, o ancor peggio, rappresentare la parte sana della serie? Quando qualcuno me lo chiede, ancora mi domando se ho sbagliato tutto oppure no. Quello che posso dire è che quel lavoro è stato assolutamente stimolante e complicato. Lo è ancora oggi a ripensarci”.
Sulle origini della serie e il confronto con il lungometraggio omonimo di Michele Placido, interviene Alessandro Roja che svela: “Voglio essere un po’ cattivello. Il film di Placido fu un’occasione non mancata, mancatissima. Perché non ruppe mai quella parete cinematografica che quel film invece avrebbe potuto fare. È una cosa evidente ormai, tanto di dati, quanto di memoria. Lo sappiamo bene, il film non ne ha, la serie invece sì, ancora oggi. Quello che è successo con il lavoro di Sollima è che si è rivelato capace di scavare una nicchia nel tempo ed è ineluttabile questa cosa qui. A distanza di diciassette anni per dire, in macchina con la barba lunga, il cappello e gli occhiali, c’è chi ancora mi guarda a lungo attraverso il finestrino, con un neonato alle spalle, dicendomi dopo una attenta e fomentata osservazione ‘ciao Dante’. L’impatto che ha avuto sociologicamente sulle persone questa serie è di fatto intergenerazionale. Possiamo dire lo stesso di Gomorra, Il Cacciatore e altre serie come queste? No. Mi sono interrogato spesso sul perché. Nel corso della lavorazione della nostra certamente è accaduto qualcosa di grandioso. Abbiamo dato vita ad un modello di production value capace di crescere nel tempo e poi sempre più. Siamo rimasti in qualche modo cristallizzati rispetto a questa cosa qui. Romanzo Criminale resta un unicum. Lo dimostra il fatto che a diciassette anni di distanza, ci ritroviamo tutti qui a parlarne. Qualcosa di enorme e irripetibile. Si è persa per strada la possibilità di fare qualcosa di simile. Persa per sempre”.
Alla conclusione dell’incontro, lo spoiler: questa non sarà l’unica e ultima reunion di Romanzo Criminale – La serie. Ne vedremo un’altra, molto presto. Non più live, bensì su schermo. Parte del cast infatti tornerà ad interpretare quei ruoli, calandosi nuovamente nelle maschere precedentemente discusse, nella seconda stagione di Call My Agent – Italia, disponibile su Sky probabilmente tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2026.