Roberto Rossellini, moralia minima

Roberto Rossellini fa parte del nostro patrimonio culturale. A quarant’anni dalla morte (3 giugno 1977) la sua lezione morale costituisce ancora un baricentro storicamente insuperabile

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

La tenerezza è la vera posizione morale. Non riesco a riconoscere come forma artistica qualcosa che manchi di tenerezza.
R.R.

--------------------------------------------------------------
IL NUOVO #SENTIERISELVAGGI21ST N.17 È ARRIVATO! in offerta a soli 13 euro

--------------------------------------------------------------

Roberto Rossellini è una certezza del nostro patrimonio culturale. In un Paese che vanta una miriade di preziosi reperti artistici, anche il nome di un regista non sfigura, e ci auguriamo che la dissipatio di queste ricchezze alla quale quotidianamente assistiamo, non debba colpire un giorno anche uno dei padri nobili del nostro cinema.
A quarant’anni dalla morte, il grande regista romano è ancora al centro di qualsiasi dibattito culturale che abbia come materia il cinema. Il suo lavoro, soprattutto quello legato alla nascita del neorealismo e quindi Roma città aperta del 1945 e proseguito con Paisà 1946 e con Germania anno zero del 1948, costituisce ancora non solo un caposaldo della storia del cinema, ma film con i quali è d’obbligo confrontarsi nell’affrontare un qualsiasi regia o scrittura.

Roma città aperta, 1945
Ma l’opera di Rossellini non si è limitata a questi tre titoli, basici e ineludibili per chiunque voglia praticare uno studio serio di quella composita fattura che è un film, l’insegnamento rosselliniano, infatti, resta soprattutto legato al rapporto con l’immagine che si focalizza sempre in un estremo e incondizionato realismo che ha la necessità di riconoscere dentro i confini della ripresa il tema eterno dell’uomo. Rossellini sentiva sempre come ha affermato: la sincera necessità, anche, di vedere con umiltà gli uomini quali sono, senza ricorrere allo stratagemma di inventare lo straordinario. In questa semplice affermazione sta la lezione del suo cinema che per la assolutamente singolare forza che aveva nell’esprimere queste basilari verità, non subito venne compreso dai critici e dal pubblico. La sua cinepresa “ad altezza d’uomo” non poteva corrispondere forse ai bisogni di un’Italia che pudicamente si affacciava al mondo e alla socialità internazionale dopo lo sfregio ricevuto dal fascismo. Roma città aperta esordì sul palcoscenico del Festival di Cannes dove venne presentato malvolentieri da parte dei delegati italiani. Il film non piacque ai critici e al pubblico, ma ottenne la Palma d’oro. Qualche anno dopo, complice il premio Paisà, 1946ricevuto al Festival e la nomination all’Oscar per la migliore sceneggiatura, fu riscoperto in Francia e da allora un revisionismo positivo accompagnò ogni proiezione del film. Ancora oggi ad oltre sessant’anni di distanza quell’opera costituisce un baricentro storicamente insuperabile. Il lavoro di Rossellini da allora si conforma ad una moralità che appartiene tutta alla sua eclettica cultura. Una cultura sicuramente adattata ai principi cristiani e filtrata da una forte carica di individualismo che ne permeerà tutta l’opera e lo isolerà, in fondo, sulla scena della cultura a lui contemporanea. Un’adesione molto vaga a certi ideali del ventennio lasciarono il posto ad uno sguardo carico di ogni sentimento solidale nei confronti degli uomini. Da questi ideali nasce un film profondamente legato a questi temi che è L’uomo della croce (1943). Il cinema di Rossellini risentiva ancora di un intricato miscuglio di patriottismo e spettacolarizzazione del testo, di retorica antieorica che finiva per diventare l’esatto suo opposto e di una centralità della presenza divina nella congerie delle disgrazie umane. Questi temi, sono messi tutti in bella mostra nel film che insieme a La nave bianca (1941) e Un pilota ritorna (1942), avrebbero dovuto essere tre film nei quali fosse evidente una sorta di subliminale propaganda di regime, non a caso collaborarono alla Germania anno zero, 1948scrittura anche appartenenti al partito, insieme ad Antonioni e allo stesso Rossellini. I tre film non sono il meglio della sua produzione, ma confermano la mano e il pensiero, ancora acerbo, di un autore che molto avrebbe consegnato al cinema italiano.
Solo negli anni futuri e con l’affinarsi del suo pensiero la sua sarebbe stata un’opera che a guardarla oggi conserva quella forza evocativa della ricerca del vero nella centralità di un umanesimo colto nella sua inarrestabile evoluzione. Rossellini è stato un profondo studioso dell’animo umano e soprattutto un acuto osservatore della realtà trasformata dalla presenza dell’uomo. Per questa ragione per lui il neorealismo era sopratutto una posizione morale. Rossellini era portatore di una utopia che traeva la sua origine da una incondizionata fiducia nell’uomo e per questa ragione diceva che il suo personale neorealismo non è nient’altro che una posizione morale che si può spiegare in tre parole: l’amore per il prossimo.
L'uomo della croce, 1943Questa natura lo avrebbe spinto a ricercare la verità delle cose nel realismo che, precisava, non è il naturalismo di Zola. Il pensiero di Rossellini su questo versante si fa sempre più chiaro e diventa un passaggio cruciale della sua poetica poiché determinerà le sue scelte artistiche future aumentando, per certi versi l’incomprensione per il suo lavoro, ma aprendo al cinema e alla televisione squarci di strutture poetiche non comuni. La sua ricerca della verità dentro le cose della realtà doveva avvenire senza alcuna drammatizzazione come amava sottolineare. Bisogna giungere a una forma nuova di espressione artistica, alimentata dal suo fondo e la cui poesia possa essere nella realtà”, diceva.
Questa forma nuova appartiene allo sviluppo di quella idea che prevedeva un cinema che avesse uno sguardo indulgente e che soprattutto si avvalesse di un nuovo linguaggio. Rossellini inventa e sperimenta e di fatto conclusa la stagione del neorealismo e mutata anche le sua condizione familiare dopo la burrascosa relazione con Anna Magnani, a seguito di una leggendaria lettera scritta da una giovane attrice svedese che gli manifestava il desiderio di girare un film con lui, conobbe Ingrid Bergman ispiratrice di una trilogia che avrebbe coperto un arco di tempo che va dal 1949 al 1953. È del 1949 Viaggio in Italia, 1953Stromboli terra di Dio, del 1952 Europa 51 e del 1953 Viaggio in Italia. Tre ritratti di donne che su vari livelli denunciano una solitudine esistenziale che appare il vero centro dell’analisi rosselliniana. Tre film del tutto estranei ad ogni finalità sociale che trasmettono il senso di una crisi che è anche di incomunicabilità, ma è soprattutto esistenziale e forse, in fondo riflettono anche una propria difficoltà. I riflessi autobiografici nell’opera di Rossellini forse sono extratestuali e appartengono più alla genesi e alla progettazione dei film piuttosto che alla stesura della trama. In questo senso i tre film segnati, dalla costante presenza di Ingrid Bergman costituiscono una riflessione sulle varianti della solitudine e della estraneità ad un mondo di regole istintivamente rifiutate. All’interno di questa elaborazione non sfugge il tema dominante dei principi cristiani e con Francesco giullare di Dio (1950), il regista di Paisà, consolida e trasforma in qualche misura il suo rapporto con la divinità, ma in special modo con i temi della cristianità. Nel film lo sviluppo non è affidato ad una drammatizzazione narrativa. La struttura ad episodi e frammentaria costituisce un punto di partenza costante della che Rossellini imprimeva alle sue opere (Paisà, India, Francesco…). È convincente pensare che ciò appartenesse ad una forma di anticonformismo produttivo. Lo scopo era quello di eliminare ogni tensione narrativa, eliminando perfino qualsiasi aura di trascendenza dettata dalla stretta appartenenza del film ai precetti India, 1957religiosi e cristiani in particolare. Tutto sembrava ricondursi su un piano di semplicità laica. Per dirla in altre parole Francesco giullare di Dio è distante da L’uomo della croce, per intenzioni e per risultati.
Nel 1957, dopo qualche anno di preparazione, uscirà India, un film ibrido che si avvale di una struttura sostanzialmente non fiction, nei quali sono inseriti però elementi narrativi. Un esperimento che rinnova l’esperienza che fu già di Paisà, ma con intenti, sembra intuirsi, anche artisticamente differenti. All’origine vi è sempre la ricerca di un nuovo linguaggio e la necessità di una forma espressiva che rompesse regole e tradizioni.
Per queste ragioni i due film pienamente calati nell’atmosfera bellica e della resistenza più in particolare, che consideriamo una “pausa” che il regista si prese dopo India, per quanto efficaci e naturalmente appartenenti alla poetica rosselliniana, appaiono oggi in una sorta di fuori sincrono, rispetto al suo percorso artistico. Il generale Della Rovere del 1959 e Era notte a Roma del 1960 rievocando i trascorsi del regista, ne ripercorrono anche il pensiero la dove le storie appaiono pervase da una umanità commovente che unifica i destini nella drammatica contingenza della storia.Il generale Della Rovere, 1959
La fase del cinema in sala di Rossellini si conclude con Vanina Vanini del 1961, film che rifiuterà e che risente di una riduzione perfino didascalica che preannuncia, pur nella ricerca costante, la svolta che sarebbe arrivata a breve.
È proprio forse questa instancabile ricerca che affascina nella figura di questo autore così centrale, una indagine artistica che si sarebbe conclusa attraverso quel cinema didattico che costituì l’ultimo estremo approdo a quella semplicità che si faceva via via più manifesta, una volontà di alleggerire da ogni orpello i film per rivolgersi ad un pubblico il più vasto possibile con il chiaro intento di raggiungere appagare il desiderio di conoscenza. Con intenti prettamente divulgativi e senza appesantimenti filosofici, ma con una ricostruzione sempre rigorosa, il cinema di Rossellini si converte alla semplicità televisiva. Nascono così una serie di opere che da Socrate a Luigi XIV, da Pascal a Cartesio e da Sant’Agostino a Cosimo De Medici ricostruiscono i tempi delle ambientazioni tratteggiando con attenzione, ma con l’occhio rivolto alla divulgazione, i profili dei personaggi. A questa galleria non poteva mancare lo sguardo ai testi religiosi e quindi vanno annoverati Gli atti degli Apostoli e Il Messia che di fatto, nel 1975, conclude Roberto Rossellini, 1906 - 1977l’attività di Roberto Rossellini.
Oggi a 40 anni dalla sua scomparsa, ci resta l’insegnamento e il desiderio fortemente perseguito della ricerca di una assoluta libertà artistica che si manifestava in un desiderio di indipendenza dai produttori, per lui abilissimo ricercatore di fondi per la produzione dei suoi film. Ci resta la storia di una figura che ha messo in opera quello sguardo morale sulle cose, ma soprattutto sugli uomini, quella moralità minima che oggi a volte manca nella quotidianità cronaca e che ancora il cinema sembra conservare forse, ce lo vogliamo augurare, nel ricordo e nell’insegnamento di Roberto Rossellini.

--------------------------------------------------------------
CORSO COLOR CORRECTION con DA VINCI, DAL 5 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Articoli correlati: