Roberto Succo, di Cédric Kahn

La storia del killer che, dopo aver ucciso i genitori, si lancia in una corsa senza fine verso la Costa Azzurra, è messa in scena con un'ironia che sembra irridere questo antieroe nel momento stesso in cui ne canta le gesta, quasi a esorcizzarne ulteriormente la statura mitica, per destituirne l'aura “superomistica” che potrebbe illuminarlo

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La cosa più sorprendente di un film come Roberto Succo è la capacità di livellare la portata etica della messa in scena su un piano di sospensione del giudizio di fronte al quale si resta felicemente disarmati e anarchicamente coinvolti. L’azzeramento del giudizio, l’incapacità di stabilire una gradazione chiaroscurale tra l’agire dei personaggi e le conseguenze delle loro azioni (gioco evidentemente fondamentale per l’autore di Trop de bonheur, La noia e soprattutto del poco conosciuto ma bellissimo Cupabilité Zéro) è una sorta di funzione illogica che disinibisce lo sguardo dello spettatore e lo travolge in un euforico gioco di perdizione che sfugge a qualsiasi classificazione del senso. La storia (incredibilmente vera) di questo serial killer veneto, che, dopo aver ucciso i genitori, si lancia in una corsa senza fine tra la Costa Azzurra e la Savoia, cambiando nome, spacciandosi per francese, uccidendo, derubando, stuprando, sequestrando, braccato dalla polizia e accompagnato dall’incoscienza insensibilmente innamorata della giovane Lea… – si offre allo sguardo di Cédric Kahn come un libro bianco sul quale riscrivere il sentimento di una libertà dell’agire che prescinda ogni giudizio. Il regista non nasconde la sua simpatia per questo folle criminale, ne cavalca il fascino da &quotfuorilegge&quot d’altri tempi, fuga prospettica di un’anarchia che travalica la responsabilità delle proprie azioni, campione di un essere fuori dalla società che al di qua del perimetro del vivere sociale non può esistere.

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Ma la cosa più avvincente di questo film è l’irresponsabilità che il regista mette nella stessa teoria della messa in scena, il contrasto di un’ironia che sembra voler irridere questo antieroe nel momento stesso in cui ne canta le gesta, quasi a esorcizzarne ulteriormente la statura mitica, per destituirne anche l’aura vagamente &quotsuperomistica&quot che potrebbe illuminare la sua sagoma. Gioco perfettamente speculare all’incedere della pellicola nella struttura da polar degradato, sorta di film inchiesta in chiave poliziesca, con tanto di &quotgendarmerie&quot sulle tracce dell’assassino, fughe rocambolesche, delitti a sangue freddo, destino segnato…

 

Cédric Kahn insomma produce il fascinoso dissenso di un personaggio al quale offre la libertà assoluta di essere protagonista di un film senza rete, trovando per giunta nell’esordiente non professionista Stefano Cassetti un incredibile interprete di livello davvero straordinario.

 

 

Titolo originale: id.

Regia: Cédric Kahn

Interpreti: Stefano Cassetti, Isild Le Besco, Patrick Dell’Isola, Vincent Deneriaz

Distribuzione: Fandango

Durata: 124′

Origine: Francia, 2001

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