RoFF19 – Ciao Bambino. Incontro con Edgardo Pistone e il cast

Il regista napoletano ha raccontato alla stampa la realizzazione del suo lungometraggio d’esordio, parlando di influenze registiche e di rappresentazione del proprio quartiere di nascita.

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Il regista napoletano Edgardo Pistone ha presentato, durante la conferenza stampa tenutasi presso la 19a edizione della Festa del Cinema di Roma, il suo primo lungometraggio, Ciao Bambino, all’interno della sezione Freestyle del festival. L’opera arriva a quattro anni di distanza dal suo ultimo cortometraggio, Le Mosche, che aveva vinto il premio Migliore Regia per i cortometraggi alla Settimana Internazionale della Critica della 77° Mostra del Cinema di Venezia.
Presenti in sala, oltre al regista, gli attori protagonisti Marco Adamo e Anastasia Kaletchuk, anch’essi alla loro prima esperienza col lungometraggio.
Tra le varie tematiche toccate durante l’incontro ci sono state quelle relative al dolore e al pudore provati dai giovani protagonisti del racconto, il tema dell’eredità dei padri raccolta dai figli, l’attaccamento alla propria terra natia e i principali riferimenti cinefili che hanno influenzato maggiormente il film.
Partendo proprio da quest’ultimo punto, Pistone ha affermato: “Potrei fare una sfilza di nomi, ma direi che il regista/dio assoluto per me sia Martin Scorsese, tant’è vero che guardavamo, insieme ai produttori, il suo primo film (Chi sta bussando alla mia porta?) che è sconosciuto al grande pubblico. Poi c’è sicuramente Pasolini, che tra l’altro viene anche “omaggiato” in una scena del mio film, Fellini e tanto cinema italiano degli anni ’60-’70, ma devo dire che un’altra grandissima influenza ce l’ha avuta il cinema messicano, con nomi come Amat Escalante e Alfonso Cuarón”.

Sulla rappresentazione del suo rione di origine, il Rione Traiano, Pistone svela con queste parole il processo creativo che ha seguito per metterlo in scena sul grande schermo: “Il Rione Traiano si presta un po’ ad essere un non-luogo, un luogo anonimo con un’architettura simile a quella delle periferie americane che siamo tanto abituati a vedere sullo schermo. La difficoltà più grande è stata quella di restituire un’immagine che fosse un po’ “irreale” del posto, un’immagine che attraverso il vuoto esteriore che presentava portasse dentro di sé anche il vuoto interiore dei personaggi, e in questo senso devo dire che il bianco e nero ci ha aiutato molto ad ottenere quello che volevamo. Di solito quando si raccontano queste realtà il tono a cui si ricorre è sempre quello di un certo “poverismo”, ma a me questa cosa interessa poco perché per me l’aspetto socio-culturale è sempre meno importante rispetto a quello puramente poetico ed emotivo di un incontro tra due giovani”.
Per quanto riguarda il rapporto con la gioventù raccontata nel film, vengono interpellati i due attori protagonisti del film, Marco Adamo e Anastasia Kaletchuk, che condividono i loro pensieri con i presenti in sala. Risponde per primo Adamo: “Nel film si racconta il passaggio dall’essere adolescente al diventare adulto troppo presto, e nella vita di tutti i giorni succede che ci sono ragazzi di 15-16 anni chiamati a fare scelte importanti fin da subito, quindi a me sembra sempre che la cosa che manchi di più a questi ragazzi sia il tempo, ce n’è sempre di meno”.
Segue Anastasia Kaletchuk: “Io ho un personaggio molto diverso rispetto agli altri ragazzi perché sono effettivamente ucraina come lei, e anch’io ho provato questo suo sentimento di estraneità nel momento in cui mi sono recata a Napoli per la prima volta, non capivo neanche una parola di dialetto. Ma credo anche che quando due persone estranee si cominciano a frequentare e, allo stesso tempo, a conoscersi a vicenda, tutte quelle barriere che si erano poste inizialmente e che si credevano insormontabili vadano a crollare, perché alla fine l’amore e i sentimenti parlano un linguaggio universale, che può essere capito da qualsiasi essere umano”.

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