RoFF19 – Incontro con Davide Ferrario e Marco Belpoliti per Italo Calvino nelle città
Ferrario e Belpoliti rendono visibili Le città invisibili di Calvino. Li abbiamo incontrati alla Festa del Cinema di Roma dove ci hanno raccontato il loro documentario, Italo Calvino nelle città
Nel cuore della Festa del Cinema di Roma, all’Auditorium Parco della Musica, abbiamo incontrato il regista Davide Ferrario e lo scrittore Marco Belpoliti in occasione dell’anteprima del loro documentario Italo Calvino nelle città.
Regista e scrittore hanno indagato lo sguardo e la vita di Italo Calvino, passando attraverso le città dove l’autore ha vissuto, e quelle invisibili, di cui ha scritto.
“Ci sono questi autori che pensi di conoscere perché li hai studiati, perché sono grandi. Ecco, raramente li conosci. È affascinante il lavoro che si può fare tra un regista, uno che lavora con le immagini, e uno scrittore, uno che lavora con le parole, per cercare di dare un’immagine cinematografica di uno scrittore”, ha detto Ferrario. “I film, soprattutto i documentari, non si fanno per dimostrare qualcosa ma per fare dei viaggi. E se il tuo compagno di viaggio è Calvino, beh, è un bel compagno di viaggio”, ha continuato il regista.
I due autori hanno raccontato come è nato il progetto e come hanno deciso di svilupparlo.
“Nella mia vita c’è un criterio grazie al quale so se un libro mi piace o meno. Ed è se dopo che l’hai letto dici “voglio fare un film”. In questo caso non è nato così il documentario perché è stato Marco che mi ha portato l’idea del film su Calvino, già orientato col tema delle città. Ho riletto Le città invisibili con l’idea che poteva essere un film. La cosa affascinante di Calvino è questa scrittura in sottrazione. Sono libri brevi i suoi, non c’è mai una parola in più; e ogni parola è di una pregnanza incredibile. Il tema era come trasformare questo in una immagine visiva. Apparentemente alcune delle città potevano essere mirabolanti, bisognava usare degli effetti speciali ma sarebbe stato come tradire Calvino e l’avremmo fatto male. Quindi l’idea era di lavorare indietro: trovare quell’elemento astratto che c’è nelle nostre città che viviamo, che era lo stesso che Calvino metteva in luce nelle sue città immaginarie che, però, si capiva benissimo che erano le città in cui abitavamo noi. Guardarsi intorno nel mio territorio che in questo caso è Torino, anche perché il budget non permetteva di allontanarsi molto… guardarsi intorno e trovare quelle cose che potevano dare quella stessa suggestione che c’era nelle immagini di Calvino. Non è che abbiamo cercato le location sulle città, sono state le location che mi hanno suggestionato e le ho selezionate così”, ha affermato Ferrario.
Le città invisibili diventano così visibili, in questo documentario che non rinuncia all’astratto per narrare un personaggio reale, un po’ nascosto, un po’ invisibile. “Io ho costruito la carriera universitaria su Calvino e ho curato anche delle sue opere di recente. Vederlo e rivederlo per montarlo è stato molto sorprendente perché, come in un ralenti, riesci a vedere tanti aspetti della personalità di quest’uomo che io prima pensavo di conoscere. È uno dei pochissimi grandi scrittori italiani che non ha una biografia ufficiale. Un uomo che si è nascosto. Invece, è così visibile!” ha affermato Marco Belpoliti, cedendo la parola a Ferrario, che ha continuato: “Calvino è un terribile uomo da intervistare. È timido, si sottrae, parla con una lentezza terrificante, spesso balbettando, con lunghi silenzi; quando devi montare quella roba lì, ti suicidi. Però le facce erano fantastiche! Sembrava proprio Mr. Bean certe volte. Ed è proprio questo elemento ironico, nella sua postura, che ho cercato di sfruttare. Ho cercato di far parlare più il suo corpo che non il resto, tanto le parole le avevamo dai suoi testi. È stata davvero una scoperta perché non ci si aspettava un Calvino un po’ Joker”.
I testi di Calvino, scelti da Belpoliti e poi adattati, tagliati e cuciti su misura da Ferrario, vengono interpretati da tre attori e un’attrice: Valerio Mastandrea, Alessio Vassallo, Filippo Scotti e Violante Placido. “Quando ho riletto Il sentiero dei nidi di ragno, che è un libro straordinario, scritto da un giovanissimo Calvino ventiseienne, ho pensato che servisse un giovane. Non poteva essere un Calvino maturo a leggere quelle parole. Serviva una faccia da giovanotto, da bravo ragazzo. E quest’idea si è evoluta poi nei tre attori che interpretano Italo Calvino nel film”, ha dichiarato Ferrario.
E la donna? “Le città invisibili di Calvino sono femmine, hanno tutte nomi di donna. Sono dei personaggi femminili. Come un’apparizione, una divinità, la donna che seguiamo nel film si veste e si cambia ed è sempre lei, è un’unica grande città: le città che coprono tutte l’universo. Calvino era uno scrittore maschilista perché cresciuto in quegli anni con quell’educazione e quella formazione. Ma contiene un elemento femminile molto interessante che ne Le città invisibili viene fuori benissimo. Ne Gli amori difficili, invece, è straordinario il punto di vista maschile che si confronta con il punto di vista femminile. Tra l’altro aveva cominciato a scrivere un libro, Le donne di Casanova, che è poco noto ed è nel terzo volume dei Meridiani, dove ci sono ritratti di donna fulminanti. E anche ne Le cosmicomiche troviamo dei personaggi femminili incredibili…” ha continuato Belpoliti.
Regista e scrittore si sono poi confrontati sullo stato attuale della settima arte e la responsabilità dell’autore. Ferrario ci ha raccontato: “Io ho cominciato come distributore negli anni ’70. Non so più cosa aspettarmi da niente. Continuiamo a chiamare cinema ciò che ormai è un’idea molto più espansa. Io vengo da una generazione per cui tu vedevi un film e ti cambiava la vita. Oggi il cinema è una grande forma di intrattenimento che passa sopra la testa delle persone, tant’è vero che non lo consumano neanche più nel luogo deputato, che è la sala, ma altrove. La mia difficoltà, per cui non faccio un film di finzione da un po’, è che non riesco a immaginarmi un pubblico. Ho sempre fatto film pensando che c’era qualcuno là fuori che, forse, era interessato ad ascoltare quello che facevo io. Ora non ci riesco. Non riesco a immaginarmi niente. Cosa aspettarsi? Non so. Il film uscirà in sala poi sulle piattaforme. Moralmente credo che abbiamo fatto il nostro dovere. È difficile adesso dire che effetto fa anche la cosa giusta che uno fa. Fa’ la cosa giusta come dice Spike Lee…”.
“Io la penso diversamente”, ha continuato Belpoliti. “Io penso che il concetto di autore sia superato. Calvino dice “Io scrivo immaginando un lettore che ne sa più di me.” Io penso che i libri esistono, i film esistono, la musica esiste, perché c’è un lettore, un ascoltatore, qualcuno che guarda. Oggi c’è un elemento di accrescimento che non possiamo più controllare. Una volta un autore era un autore, e c’era la statua. Non so, prendiamo la statua di Cristoforo Colombo, che ha scoperto l’America. No! L’America viene scoperta da ciascuno, nel suo piccolo, indipendentemente. In una rete, in una molecolarità che nessuno controlla più. Questo cosa porta? Forse dal punto di vista politico… non saprei dirlo, dal punto di vista etico neppure. Dal punto di vista estetico credo che ci sia una crescita molto forte. L’elemento estetico è quello dominante nella nostra società.
Quindi forse bisognerebbe un po’ interrogarsi… insomma noi non dovremmo stare in cima al fiume, dovremmo andare dove il fiume si butta nel mare e vedere cosa arriva”.
Ferrario ha ribattuto, concludendo: “Eh, però, no. Aspetta, ti dico una cosa. Dato che l’autore non esiste più… la mia idea di autore, quella con cui sono cresciuto, da critico, da distributore, era uno che controllava quello che faceva. Credo che l’autore oggi è spossessato di questo, al massimo è responsabile del film che fa. E quello lo rivendico. Ma il meccanismo nel quale il film è inserito, che effetti abbia, da dove arriva e cosa succede, questo non ce l’hai più. Ed è un po’ un disorientamento, che non vuol dire che ti ritiri in campagna a coltivare l’orto, è che proprio non lo so. Non c’è niente di semplice”.