RoFF19 – The Return. Incontro con Uberto Pasolini e il cast
A quattro anni dal suo ultimo film, Uberto Pasolini presenta alla Festa del Cinema di Roma The Return, adattamento dell’Odissea che conta su Ralph Fiennes, Juliette Binoche, Claudio Santamaria

A quattro anni da Nowhere Special – che mostra “l’attesa della morte e parla d’amore” – e undici dopo Still Life – miglior regia a Venezia in sezione Orizzonti – Uberto Pasolini presenta alla Festa del Cinema di Roma (e poi in sala dal 30 gennaio 2025) l’epica di The Return per guardare all’orrore della guerra, tra il dolore di quel che resta di una civiltà e la nostalgia della “regalità” perduta. Odisseo è un massiccio e istrionico Ralph Fiennes, mentre Penelope ha i tratti resilienti di Juliette Binoche, che tesse e disfà una tela mentre scongiura l’assenza di suo marito.
Oggi pomeriggio in Sala Petrassi si è tenuta la conferenza stampa del film, a cui erano presenti, oltre al regista Uberto Pasolini, anche i produttori Roberto Sessa di Picomedia e Samantha Antonnicola di Rai Cinema, e gli interpreti, Ralph Fiennes, Juliette Binoche e Claudio Santamaria.
L’entrata in sala del cast è accompagnata da una calda e curiosa accoglienza. Il primo a rompere gli indugi è proprio Pasolini, quando si trova a dover rispondere del suo desiderio di rileggere l’Odissea oggi in modo così personale.
“Perché non prima e da qualcuno più bravo?” controbatte subito il cineasta. “Sono settanta anni che non si vede una versione cinematografica che non racconti l’Odissea in maniera speciale; l’ultimo film risale al 1954 con Ulisse di Mario Camerini. Io sono trent’anni che sto provando a fare questo film, ci ho messo di più io che Odisseo a vincere la guerra, dormire con le donne del mediterraneo e tornare a casa” conclude Pasolini tra le risate del pubblico.
Poi prosegue accennando al suo legame così personale con il testo omerico: “La passione per l’Odissea è una passione infantile – confessa Pasolini – ma più si invecchia più ci si riconosce nell’emotività e nella psicologia delle persone (e non dei personaggi, specifica). E io mi ci riconosco, non come eroe, ma come marito, padre fallito che fa dei ritorni difficili a casa”.
“Non so perché veramente gli autori cinematografici non si siano cimentati nella sfida di rileggere l’Odissea – continua – io l’ho fatto per arroganza, perché ci vuole arroganza per mettersi in confronto con Omero, per la fortuna di avere Juliette, Ralph, Claudio insieme a me e poi perché, come mi disse Dante Ferretti due anni fa quando mi dava dei consigli, gli unici passi che vale la pena di fare sono quelli più lunghi della gamba.”
Poi la palla passa agli attori quando viene chiesto loro se abbiano fatto una ricerca storica per interpretare i propri personaggi.
“Si parla sempre di ricerche storiche e di lettura di libri per gli attori” – risponde prontamente Ralph Fiennes – “ma spesso la ricerca è la tua immaginazione. Credo che l’immaginazione emotiva sia fondamentale, perché ti fa domandare: che significa tornare a casa? Che significa essere esausti fisicamente? Mi sono mai trovato in una condizione così? Io non ho fatto un lavoro di ricerca come spesso si dice, ma volevo studiare la sceneggiatura con Uberto e Juliette per capire la verità delle motivazioni. Quando sei sul set la ricerca non significa nulla, perché piuttosto devi essere aperto all’accidente del momento, e la preparazione significa essere pronto a quel momento.”
Sulla stessa linea d’onda sembra essere anche l’approccio interpretativo di Binoche, quando confessa di non aver dovuto fare enormi ricerche. “Si tratta di archetipi radicati in noi” – spiega l’attrice transalpina – “sentimenti che si possono provare quando si viene lasciati, come questa donna, Penelope, che vuole proteggere il figlio ad ogni costo. Mi è bastato pensare alle situazioni della mia vita di donna sola che deve educare i propri figli ed è stato molto più facile per entrare in contatto con quella Penelope. In fondo in noi esseri umani troviamo tutti gli archetipi”.
Poi prende la parola anche Claudio Santamaria descrivendo il mestiere dell’attore come una perenne questione di indagine interiore. “Il mio personaggio – racconta – vive l’abbandono. Mi sono chiesto come possa essere sentirsi soli e abbandonati nella speranza di un sogno come una terra, una famiglia che ti ha promesso un re tanti anni fa. Eumeo attende questo ritorno per vent’anni e cerca in quest’attesa di proteggere lo spirito di quel poco di umanità che è rimasto. Come diceva Stanislavskij: capire e ricordare è facile, difficile è credere. Per questo la ricerca per noi attori è sempre interiore.”
Dopo il lavoro degli attori, la curiosità si sposta verso le scelte autoriali di Pasolini nell’adattamento del testo omerico.
“L’ordine dei fatti nel mio film è stato cambiato a volte: abbiamo fatto un’operazione che potremmo chiamare aristotelica nel condensare eventi del passato e del presente. Ci sono certamente battute ispirate al testo di Omero e altre ispirate a testi più recenti. Per esempio, ho letto molte interviste di reduci del Vietnam, che parlavano della loro difficoltà nel gestire la violenza perpetuata in guerra e nel tornare in famiglia.”
“Anche queste cose mi hanno ispirato moltissimo” – spiega il regista – “ma ci tengo a dire che quello che abbiamo fatto noi voleva avere uno spirito Omerico, ma di un Omero che parlava di cosa volesse dire essere umani, essere padri, mogli, figli. Ci siamo focalizzati di più nelle Odissee interiori e meno di quello che ci ricordiamo dalle letture giovanili come i ciclopi e le sirene.”