#RomaFF10 – Il bambino di vetro, di Federico Cruciani

Ispirazioni e scelte tecniche a parte, il film di Cruciani regge l’impatto con una tematica certamente complessa

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Giovanni ha dieci anni ed è il figlio unico di Vincenzo Vetro, operaio al mercato ittico di Palermo e corriere della malavita palermitana. Ma  Il bambino di vetro non è una storia di mafia, tema solo apparente e di dettaglio sullo sfondo dello sguardo di Giovanni verso il mondo che lo circonda, deformato dagli affetti, ma attento e determinatissimo a penetrare “il dentro e il fuori” delle proprie dinamiche familiari. Primo lungometraggio di Federico Cruciani e unico film italiano in concorso nella sezione Alice nella città del Festival del Cinema di Roma,  Il bambino di vetro viene proiettato ad appena tre giorni di distanza da Anche libero va bene, di Kim Rossi Stuart – datato 2006 e selezionato nella sezione I film della nostra vita – che certamente ne ispira l’intenzione di portare in scena lo scarto di prospettiva sullo stesso oggetto tra età adulta e infantile, che culmina, in questo caso, nella rottura del canale di comunicazione tra gli osservatori.  L’esigenza  scoperta di conformare regia e tecnica al tema, si traduce nell’utilizzo incalzante dei primi piani, che staccano il soggetto dallo sfondo sfocato degli eventi che Giovanni si sforza di cogliere mentre ne acquisisce lenta consapevolezza e che in lui stridono con quei ritratti di “normalità” descritti da Cruciani attraverso la rappresentazione dettagliata delle piccole vicende della quotidianità di bambino, rotta dai fuori campo in cui si collocano gli eventi che sconvolgono l’immaginario falsato di Giovanni (che ascolta i propri genitori litigare da un’altra stanza e “sente”, non vede,  l’omicidio che si consuma al mercato). E ciò che non è “fuori” è dietro il filtro di un vetro, di una grata, di una serranda abbassata, scelta, questa,  sintomatica di un utilizzo forse troppo didascalico della simbologia, ancora una volta, al servizio del tema (è il caso dell’iconografia religiosa degli ambienti mafiosi qui portata al parossismo o, per altro verso, di quel tradimento padre/figlio che si consuma in “via del sacramento”). Ispirazioni e scelte tecniche a parte, il film di Cruciani regge comunque l’impatto con una tematica certamente complessa, penetrando l’universo infantile in maniera convincente. Buona la prima.

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