#RomaFF10 – La chiave del Cinema è il Mistero. Incontro con Pablo Larrain

Dopo l’omaggio organizzato dl Festival di Roma, con la proiezione della sua filmografia, Pablo Larrain ha incontrato il pubblico romano in un’affascinante chiacchierata sulla sua opera.

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Dopo il lungo omaggio organizzato dal Festival di Roma, con la proiezione della sua filmografia completa nella sala del Maxxi, Pablo Larrain, nel presentare El Club, il suo ultimo film premiato a Berlino, ha incontrato il pubblico romano in un’affascinante chiacchierata sulla sua opera. Larrain è subito chiaro sulla sua idea di Cinema. “La chiave del Cinema, per me, è il Mistero. Con i miei personaggi cerco sempre di lasciare qualcosa di sconosciuto, un passato non detto. Nei miei film non voglio dare risposte, lascio sempre domande aperte. Il sospeso è un territorio che crea pericolo e tensione, ideale per stimolare lo spettatore.Anche sulla sua “formazione” cinematografica la risposta del cineasta cileno spiazza.La mia formazione cinematografica è stata puramente fisica, meccanica. Io mi sono approcciato al cinema attraverso il contatto con la cinepresa, con la camera. Io vengo dal mondo della fotografia, dunque amo più il lato artigianale del Cinema. Adoro i rituali intorno alla cinepresa, quando si monta la pellicola, quando la si toglie. Non sono un regista che dirige seduto sulla sua poltroncina, io adoro fisicamente toccare la cinepresa. Per me è sacra. Per questo intorno ad essa non permetto mai parole fuori luogo o battute stupide.Da questa risposta si può intuire come la sceneggiatura non sia la fase principale del lavoro di Larrain:Tra tutte le fasi del cinema, il set è quello che per me ha più importanza. La fase di scrittura può durare poco o tanto ma durante le riprese cambia tutto. Anche se ho un soggetto, io lavoro spesso con “scene x”, scene non scritte, uno strumento che permette all’attore di esporsi e di dare tutto se stesso alla macchina da presa. I miei attori spesso non sanno nulla dei loro personaggi e questo permette loro di essere “presenti”, senza passato o futuro. Pensate che per El Club non c’era nemmeno una vera e propria sceneggiatura, gli attori erano all’escluso di tutto. Ciò ha creato quel limbo che circonda le vicende del film. Alla fine i miei film nascono durante il montaggio, anche perché io giro tantissimo” Larrain parla anche dei suoi collaboratori storici e del loro rapporto fuori dal set. “Siamo un gruppo molto unito che si conosce da molti anni. Quando stiamo insieme mangiamo e stiamo sempre con un bicchiere in mano. Non esistono gerarchie e abbiamo fiducia uno nell’altro. Con il mio sceneggiatore, di solito, quando prepariamo un film, ci chiudiamo nella mia casa al mare e leggiamo e vediamo film per circa una settimana. E’ il metodo che uso per trovare il materiale adatto da proporre al mio team e al mio cast per far capire loro il film che stiamo per realizzare insieme. Tra il materiale che portiamo c’è sempre almeno un’opera di Pasolini.” Larrain spesso è considerato l’artefice di un nuovo cinema politico sudamericano, definizione che lui stesso tiene a precisare. “A me interessano i personaggi nati da un processo politico, non il processo politico in sé. Io voglio parlare di personaggi che sono dimenticati da tutti, vittime del contesto politico che li ha generati. Ecco perchè i miei protagonisti sono spesso sgradevoli ed è per questo che io voglio, con la mia cinepresa, stare sempre incollato a loro. E’ l’unico modo per far entrare il pubblico nelle loro vite, nelle loro storie. Io non faccio cinema militante. Non mi interessa prendere parti di una fazione politica o di un’altra. Nonostante io abbia una coscienza politica solida, ho appoggiato apertamente l’attuale Presidentessa socialista cilena, non voglio fare film per il mio partito. Tutti le mie pellicole, anche No, sono state invise, non solo alla destra, ma anche alla sinistra. Questo è il mio obiettivo, prendere le distanze da tutti e raccontare le storie e non dover chiedere scusa di nulla“. Proprio sul senso del Cinema, il regista tiene ancora a precisare, prima di salutare il pubblico:Quando mi chiedono “qual è il messaggio del tuo film?” mi arrabbio terribilmente. Dover fare un Cinema che porta con sé un messaggio lo trovo un terribile insulto all’intelligenza del pubblico. Io penso che il regista sia un bambino con una bomba in mano pronta per esplodere. Il cinema deve essere irresponsabile. Un film non deve fare proseliti ma deve dare un pugno allo stomaco attraverso i sensi. Cosa c’è di più forte di un’opera che narra solo attraverso i suoni, lasciando all’immaginazione dello spettatore il resto?

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