#RomaFF10 – Registro di classe, di Gianni Amelio e Cecilia Pagliarani

Il viaggio nella scuola che fu – libro primo del film documentario Registro di classe di Gianni Amelio – parte da un paesino della terramadre calabra per raccontare – in coppia con la montatrice Cecilia Pagliarani – i primi sessant’anni del Novecento italiano dietro i banchi delle primarie. Lo fa soprattutto attraverso lo sguardo dei bambini – già delicatamente protagonisti nel cinema di d’Amelio da Il Ladro di bambini a Così ridevano a Le chiavi di casa a Il primo uomo – attingendo a fotografie, cinegiornali, interviste d’epoca e altro materiale d’archivio. L’esito è il ritratto aperto e composito (attendendo il secondo capitolo dell’opera) di un Paese a maggioranza analfabeta in cui l’italiano non è ancora diventato lingua popolare e i maestri devono parlare in dialetto per poter comunicare con le classi. Dove i divari tra nord e sud, città e periferia, abbienti e indigenti, è mancanza di pane e libri che fa restare a casa i figli dei poveri o li costringe alle scuole serali. Dove il lavoro infantile è la regola per molte famiglie. Mentre un senso di fatalismo definisce, nelle campagne del mezzogiorno, il passare di un tempo che sembra fermo da secoli e che confermerà ancora a lungo il divorzio pasoliniano tra sviluppo e progresso.

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Proprio a Pasolini il film riserva, insieme a Gaber (che canta anche nei titoli di coda), un posto d’onore utilizzando un’intervista al grande poeta corsaro per spiegare un classico della pedagogia, Lettera a una professoressa, e la rivoluzione di don Milani preparando il Sessantotto. L’utopia del prete di Barbiana è punta di diamante in un processo di democratizzazione che scommette sull’educazione e passa pure attraverso i flussi migratori. O dal felice esperimento della Scuola-Città Pestalozzi fondata a Firenze nel secondo dopo guerra.

Ma prima c’era stato il fascismo, coi suoi temi pro duce per scolaresche elementari, edifici scolastici sotto le bombe prima come sotto il mirino del sequestratore di un gruppo di studenti nel pezzo di cronaca di un complicato post bellum. C’erano anche le scuole di periferia spesso identiche con le scuole speciali, per bambini che la retorica dei documentari definiva ancora “deficienti” (ed erano poi solo poveri). Discriminazioni e arretratezze d’altri tempi che attendono il secondo capitolo di questa riuscita opera documentaria per tentare forse un definitivo confronto col presente e chiederne conto.

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