#RomaFF11 – Essere Maria per Roma. Incontro con Karen Di Porto

L’attrice esordisce dietro la macchina da presa con una storia in larga parte autobiografica che racconta anche il cambiamento del centro di Roma, come ha spiegato ai giornalisti all’auditorium

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Cercare Maria per Roma nel gergo della capitale significa imbarcarsi in un’impresa senza possibilità di successo, un tempo tutte le donne si chiamavano Maria in questa città, ma essere una Maria per Roma vuol dire essere inaffidabile, irresponsabile”, spiega Karen Di Porto ai giornalisti che la incontrano per parlare del suo film d’esordio, in Selezione Ufficiale alla Festa del Cinema. “Questo film è la mia dichiarazione d’affetto per la disfunzionalità, delle persone ma anche di questa città. Roma doveva assolutamente essere nel titolo, anche se nel film è soprattutto un fondale quasi da teatro, un’immagine di passaggio divisa tra indifferenza e calore, bellezza lontana e ristoro effimero”.
Una storia in larga parte autobiografica, anche se “non uno sfogo”, il racconto di “una giornata come tante ma con qualcosa di speciale” di questa attrice che sbarca il lunario come keyholder per una società di appartamenti in affitto: una situazione effettivamente sperimentata da Karen Di Porto in un momento della propria vita, sempre con la fedelissima cagnetta Bea al seguito, che infatti la accompagna anche sul palco dell’incontro con i giornalisti di stamattina.

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“Non ho dato ascolto a nessuno di chi mi consigliava di potenziare i paletti da struttura classica nella sceneggiatura”, racconta l’interprete/regista, “perché per la mia generazione la ricerca di una realizzazione personale ha per forza di cose un percorso frammentario, continuamente interrotto come succede a Maria con le sue implacabili telefonate”.
Il film non è però solo un racconto intimo e personale ma ambisce a farsi istantanea della fine di una certa Roma borghese e aristocratica che ha perduto del tutto le certezze economiche che ne mantenevano l’opulenza fino agli anni ’80: gli appartamenti in affitto in centro da parte della nobiltà decaduta come i figli dei commercianti in fallimento che per fare gli attori si infilano i costumi da centurione per fare le foto con i turisti davanti ai monumenti. In questo il centro dell’urbe è un crocevia che raccoglie un’immagine emblematica della decadenza, e se “Cesare, l’attore vestito da Gesù davanti al Colosseo, è il vero eroe della Roma di oggi, allora la figura del padre fantasma è proprio il racconto dello smarrimento della figura del genitore su cui contare fino alla fine, comune a molti giovani di questa generazione. Con Cyro Rossi, che interpreta il mio papà, ci siamo chiusi per una settimana a provare il ruolo del padre, anche se poi appare solo in tre brevi sequenze era fondamentale che fosse focalizzato bene.”

Nella produzione di Galliano Juso l’autrice esordiente ha trovato la sicurezza di poter portare avanti il progetto senza scendere al compromesso di avere per forza una star nel cast, e senza aver paura di non riuscire a governare un set poco impressionato da una regista donna senza una grande preparazione tecnica: molto hanno fatto anche i numerosi aiuti arrivati da amici e sostenitori di una Roma che sembra aver mostrato tutta la sua anima più generosa per sostenere il progetto. In cassetto Karen Di Porto ha ancora una storia ambientata nella comunità ebraico-tripolina della capitale, che ancora una volta sarà narrata in maniera del tutto personale.

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