#RomaFF11- Kids in Love, di Chris Foggin

Nonostante l’ottima prova di Will Poulter, Chris Foggin non riesce a maneggiare come si deve la materia problematica che si agita sotto la superficie del rito di passaggio. In Alice nella città

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Ci sarebbero stati bene anche unicorni e arcobaleni nella coloratissima Londra da cartolina, con le sue strade sempre troppo festanti e l’ormai celebre grigio della città bandito persino nei giorni di pioggia, che Chris Foggin, qui al suo primo lungometraggio, continua ad attraversare, dai titoli di testa in poi, in una tanto estenuante quanto superflua ripetizione di quadretti metropolitani, per nulla aiutati dalla poco ispirata e troppo invasiva colonna sonora che li accompagna. L’estetica da rivista patinata sarebbe forse potuta risultare interessante di fronte alla scelta di imprimere un taglio favolistico alla storia, il problema è che poco o nulla si addice, invece, al tentativo di questo coming of age di raccontare quel crocevia traballante e incerto che segna il passaggio dall’adolescenza all’età adulta e dove si viene improvvisamente assordati dai battiti del proprio cuore.
Protagonista del Bildungsroman di Chris Foggin è Jack, un Will Poulter tra le cose migliori di Kids in Love, figlio dell’upper class londinese, con di fronte un anno sabbatico prima dell’università, che mette in discussione se stesso e quel futuro già attentamente pianificato dai propri genitori per inseguire un’infatuazione, la cotta per Evelyn, l’imprendibile ragazza francese interpretata da Alma Jodorowsky nipote di Alejandro, e per quel nuovo gruppo di amici fuori dagli schemi, capitanati dalla magnifica e leggiadra Viola di Cara Delevingne.
Se anche il tema della necessità di perdersi fino in fondo nelle proprie infatuazioni per scoprire di possedere la forza per inseguire i propri sogni e iniziare a scrivere di proprio pugno la vita che verrà, magari, nel caso di Kids in Love, con quella Pentax spuntata chissà come, in una delle tante ingenuità di scrittura in cui inciampa il film, avrebbe potuto aprire scenari interessanti, Chris Foggin non riesce a maneggiare come si deve la materia problematica che si agita sotto la superficie del rito di passaggio descritto dalla parabola di Jack e finisce per accontentarsi di un inno alla libertà dalla copertina scintillante, ma di assai poco spessore.
Confinato lo scontro tra generazioni, pur più volte dichiarato centrale, in una manciata di sequenze svogliate che non traducono mai la tensione tra Jack e i suoi genitori e ridotta a poco più che un tour organizzato, privo o quasi di contraddizioni, la presunta vita bohemien sulla quale si affaccia il protagonista del film, Kids in Love si limita a riempirsi la bocca di frasi da ritornello pop, in una vuota abbuffata di momenti festanti dove a salvarsi è solo la vocazione romantica del film, capace finalmente di una qualche profondità emotiva, merito soprattutto l’incertezza, la speranza e le aspettative che l’ottimo Will Poulter imprime agli sguardi rubati, lanciati dal suo Jack alla volta di un amore impossibile.

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