#RomaFF11 – Kubo and the Two Strings, di Travis Knight

Con Kubo and the Two Strings di Travis Knight, il discorso programmatico della Laika, raggiunge un livello più maturo, usando la storia del giovane cantastorie/samurai per veicolare un messaggio forte

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“I don’t know how you were diverted, you were perverted too. I don’t know how you were inverted, no one alerted you”. Partiamo dalla fine. Durante i titoli di coda, sulle parole di While my guitar gently weeps, cantata per l’occasione da Regina Spektor accompagna da un shamisen (chitarra tradizionale giapponese), si ha immediatamente l’impressione di aver appena visto un film d’animazione diverso dal solito. Dal punto di vista della qualità e dell’impegno, la Laika Entertainment, da alcuni anni, ci ha già abituato, con i successi degli splendidi Coraline e la porta magica e Paranorman, ad uno standard produttivo decisamente alto. Eppure con Kubo and the Two Strings, il discorso programmatico della casa d’animazione fondata da Peter Knight, raggiunge un livello più maturo. Usando la lineare storia del piccolo cantastorie/samurai Kubo, Travis Knight (figlio del fondatore della Laika, qui al suo esordio alla regia) si mette sulla scia dei precedenti per veicolare un messaggio forte. L’avventura originale del giovane eroe, infatti, segue la più classica formula eroica di Christopher Vogler, tra incontri con mentori e prove di coraggio, fino al combattimento finale con il villain principale.

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L’affascinante semplicità della vicenda, arricchita da un’animazione stop-motion che gioca superbamente con i materiali (la carta, anche per motivi narrativi, ha un ruolo centrale) e da un gusto orientale che guarda, con grandi libertà, alla tradizione nipponica, diventa il mezzo con cui l’autore parla di temi universali come perdita, ricordo, mortalità e crescita. Seguendo l’esempio generale di tutta la  produzione d’animazione contemporanea, la Laika tratta il proprio pubblico infantile (?) con rispetto, affrontando i giovani spettatori come se fossero tanti Kubo pronti a iniziare il proprio viaggio verso l’indipendenza e l’età adulta. Da che abbiamo memoria, raramente si è visto sviluppare, in una produzione con aspirazioni mainstream, il concetto di morte (soprattutto dei propri cari) con tanta poesia e serena leggerezza. Lacrime dolci cullate dalle note del piccolo shamisen, lo strumento con cui Kubo crea le sue storie e proietta verso nuovi mondi. Kubo and The Two Strings è, cosi, un magnifico affresco di invenzioni visive e di epica immediata, anche per merito dei tanti riusciti personaggi ( nobilitati dalle voci di Charlize Theron, Matthew McConaughey e Ralph Fiennes) che circondano il giovane eroe. Il film di Knight, diventa un elogio all’immaginazione, un invito a inseguire per sempre la sana follia di chi racconta storie. Sono queste, infatti, le uniche armi per affrontare una vita che, come le migliori favole, deve essere seguita dall’inizio alla fine. Perché la perfezione dell’infinito è, forse, qualcosa caro più a crudeli divinità celesti che a comuni mortali innamorati dei sogni.

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