#RomaFF11 – Nocturama, di Bertrand Bonello

Sublime cantore della fine di epoche e sistemi, Bonello si rifugia in una nuova maison close per l’epilogo del trittico ideale formato da L’Apollonide e Saint Laurent, con un’opera lucida e ammaliante

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Puntini – sul terzo pannello ci sono puntini dappertutto, non vedete? (…) ma ragazzi – e ragazze – eccoli: irritanti, minuscoli puntini che non sembrano lì per caso ma fatti da qualche macchina – quindi niente stronzate, solo la storia nuda e cruda, senza fronzoli, solo i fatti: chi, che cosa, dove quando e non dimentichiamo il perché, anche se a giudicare dalle vostre brutte facce ho la netta impressione che il perché non avrà risposta – dunque, allora, si può sapere che cosa succede? 

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(Bret Easton Ellis – Glamorama)

 

E se alla fine Bertrand Bonello avesse realizzato la vera trasposizione possibile della letteratura ellisiana, e del suo testo più complesso, bulimico e sfuggente? Portando avanti al tempo stesso un altro tassello di una filmografia sempre più sorprendentemente coerente, da vero sublime cantore della crisi, della fine di epoche e sistemi.

Già, perché Nocturama, che deve il suo titolo all’album di Nick Cave, pare davvero la versione notturna e concentrata – rispetto all’accumulo forsennato di parole che dissolve il testo in un insieme di puntini, di pixel accecanti – di quell’inno alla superficie che è il Glamorama di Bret Easton Ellis.

nocturama-jeanne-darcIl distacco dalle cose (Even better than the real thing cantavano gli U2 di Achtung Baby, da cui Ellis trae il verso-simbolo del suo romanzo) si traduce qui realmente in un’esposizione “nuda e cruda, senza fronzoli, solo di fatti”, svuotata – almeno nel lungo prologo – di qualunque sostegno emotivo ai personaggi, impassibili vettori come i protagonisti di Elephant ma anche come il Samourai di Melville, e pedinati con altrettanto rigore attraverso una Parigi prima solo sfiorata, lambita e poi penetrata, ferita, come se i seguaci del Nuovo Ordine di De la guerre avessero deciso di compiere il passo successivo, dall’isolamento alla distruzione del vecchio Royaume.

Almeno fin quando uno struggente campo-controcampo tra gli occhi “bagnati di lacrime” della statua dorata di Jeanne d’Arc e la ragazza che dovrà nuovamente metterla al rogo non introduce lo scarto emotivo che traghetta il film nella sua lunga notte di attesa e speranza, frenesia e terrore.

Inside-Out Paris.

nocturama_hamza_meziani-my-waySpaccato esattamente a metà tra dentro e fuori, ad eccezione delle brevi escursioni notturne di uno dei protagonisti per le vie fantasmatiche e deserte – dove l’incontro con la musa Adele Haenel, portavoce del pensiero dell’autore con quel “Qualcosa di simile doveva accadere”, dà corpo a questa opprimente idea dell’attesa che pervade l’opera – dal momento della reclusione nel tempio delle merci del grande magazzino, Nocturama si rivela anche un’esposizione del cinema di Bonello, sempre preso in mezzo tra tentazione e terrore di diventare oggetto da museo, come per l’Yves Saint Laurent imprigionato in vetrina tra i suoi tuxedo, che tornano qui in un’immagine identica, inside joke che sigilla l’opera come ideale conclusione di un percorso iniziato con L’apollonide e proseguito col biopic sullo stilista.

Case chiuse, case di moda e case del consumo, i microcosmi di Bonello sono luoghi dove il normale flusso temporale si cristallizza per poi procedere in completa autonomia, attraverso analessi e prolessi convogliate dall’uso delle musiche, sempre spiazzanti, sempre fuori contesto: al pari della Night in white satin che trasporta l’ultima notte del Diciannovesimo secolo in quello successivo, la performance retro di My Way assume le sembianze di un dolente sguardo al passato e la celebrazione di un’individualità ormai impossibile, dove l’autore si dissolve nel battito del subwoofer (“ascolta il sound”, dice uno dei ragazzi a chi fa rimostranze sull’età dell’interprete Willow Smith…)

We’ll slide down the surface of things

nocturama-3Non un film sul terrorismo, ma un film – ripetiamolo – sull’attesa dell’evento. Attesa che nella prima ipnotica sezione del film, segue – perdendosi tra i corridoi asettici delle metropolitane come le parole svuotate di senso di Ellis – questi giovani messaggeri portare la loro missiva di morte, disperata richiesta di distruzione e rinascita.

Ricordando lo smarrimento di altri giovani protagonisti, quelli del Bresson di Il diavolo probabilmente, egualmente corrosi da un’apatia per ideologie già avvertite come obsolete e che qui esplodono definitivamente: «Quello che mi ha spinto a fare questo film – diceva Bresson con parole che appaiono oggi profetiche – è lo spreco che si fa di tutto. È questa civiltà di massa dove ben presto l’individuo non esisterà più. Questa folle agitazione. Questa immensa impresa di demolizione dove moriremo per colpa di ciò per cui avevamo sperato di vivere. È anche la stupefacente indifferenza della gente, con l’esclusione di alcuni dei giovani più lucidi».

nocturama-abbraccioEcco perché Nocturama è un film straziante. Perché i giovanissimi personaggi di Bonello portano avanti questa dolce, per quanto violenta, utopia, consapevoli dell’unico finale possibile cui andranno incontro. E allora c’è tempo soltanto per un’ultima danza, stavolta sulle note di Call me, che introduce il “trascendentale” cortocircuito finale, che va da Bresson al discepolo Schrader di American gigolo, il quale firma poi con Ellis The Canyons, altra potente e sottovalutata opera sul declino del Sistema-Cinema.

Perché l’unica soluzione possibile è scivolare sulla superficie delle cose. Come ripete ossessivamente il mantra del Victor di Glamorama e come i protagonisti di Bonello continuano a fare, almeno dal giovane Jérémie Renier de Le pornographe, chiuso in un mutismo che solo la danza riusciva per un breve istante a liberare in un urlo silenzioso.

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