#RomaFF11 – Una, di Benedict Andrews

Con Una, il suo esordio cinematografico, il drammaturgo australiano Benedict Andrews porta sul grande schermo un fortunato testo teatrale, per raccontare un’anomala e disturbante love story.

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Una è una giovane donna di un anonimo sobborgo inglese. Le sue notti sono riempite a forza di alcol e sesso occasionale, in un voluto e consapevole percorso auto-distruttivo. La sua vita, infatti, è segnata dalla perdita di un amore passato, un’esistenza dolente costruita, per quindici anni, intorno al vuoto lasciato dall’abbandono di Ray, l’uomo che ha abusato di lei tredicenne. Quando la ragazza decide di presentarsi da lui, nell’azienda dove lavora, il confronto tra i due “vecchi amanti” scatenerà i ricordi proibiti e i fantasmi della loro storia sbagliata. Con Una, il suo esordio cinematografico, il drammaturgo australiano Benedict Andrews sceglie di portare sul grande schermo Blackbird, il fortunato testo teatrale di David Harrower, per raccontare un’anomala e disturbante love story.  Pur raccontando qualcosa di convenzionalmente immorale, Andrews s’immerge senza giudizio nell’ambiguità di questa storia, restituendo la profonda (e malata) passione dei due protagonisti. Una, infatti, sviluppa,come in un elegante, classico, melò, il violento disagio di una situazione che si riconosce, in ogni singolo istante, pericolosa e profondamente sbagliata. L’angoscia di questo incontro, amplificata dal clima gelido e opprimente dell’azienda in crisi che fa da sfondo alla vicenda, avvolge lo spettatore nel degradante e osceno calore dell’abbraccio tra i due protagonisti. I ruoli di vittima e Unaaguzzino si alternano continuamente davanti ai nostri occhi, perdendo di significato.

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Come a teatro (dove i due ruoli principali, almeno nella loro versione più famosa, sono stati interpretati da Michelle Williams e Jeff Daniels) la storia trova molto della sua feroce credibilità nella scelta dei due protagonisti, Rooney Mara e Ben Mendelsohn. Attori abituati a prove mai concilianti o pacificate, entrambi regalano ai personaggi, la propria nervosa natura recitativa, colorando di nero il dolore di Una e Ray. L’audace tentativo del regista di muoversi con decisione dentro l’ambiguità di una vicenda, di per sé, scandalosa, però crea diversi cortocircuiti. Cosi interessato a salvare, nel racconto, sia l’Amore che l’Orrore, il regista perde la strada e arriva a creare solo un confuso dramma morale. Anche una struttura narrativa allargata forzatamente con flashback, prologhi ed epiloghi (l’essenziale testo teatrale originale è stato, per forza, adattato a una struttura tradizionale) raffredda ulteriormente il fuoco della storia,  arrivando a stento al finale estenuante. Il passaggio dal palco allo schermo, dunque, priva Una di qualsiasi soffio di pura emozione, facendo quasi sembrare il film una meccanica e rumorosa scusa per fare un effimero scandalo.

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