#RomaFF12 – Babylon Berlin Ep. 1 e 2, di Tykwer, Handloegten e von Borries

Sky prova a sfidare i colossi dell’intrattenimento domestico e il risultato, finora, supera qualsiasi aspettativa per intelligenza scrittoria, senso estetico e dose d’atualità.

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Sky vuole ritagliarsi un posto d’onore fra i Titani, quei colossi che meglio sfruttano il linguaggio seriale e le sue spettacolarizzazioni. Tralasciando lavori più piccoli, quelli che per nascita non necessitano ricostruzioni milionarie, le major, attualmente Amazon, HBO, Netflix, hanno partorito e allevato i rispettivi purosangue, sfruttandoli, naturalmente, fino all’ultimo respiro (vedi l’ultima stagione de Il trono di spade e la ricerca spasmodica del sì). La scuderia Sky è affollata; conta prodotti nostrani, Gomorra, un successo anche negli USA, e importa i maggiori rastrellatori di teste incollate allo schermo (Empire, il già citato GOT, il neodefunto House of Cards ed altri). Ma per competere sul serio la buona scrittura non è abbastanza, occorre creare un mondo che nutra sia i palati schifiltosi, quelli che beccano la falla drammaturgica dopo un nanosecondo, e gli avidi di panoramiche, campi lunghi, dose sufficiente di verosimiglianza, vedi il buon Martin e i creatori di GOT, necessari a coprire l’investimento. Torniamo sempre lì, il vecchio danaro. In quest’ottica, Babylon Berlin è perfetta.

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sky_17-07_gallery_babylon-berlin_7-scaled-1Sky Deutschland chiama alle armi Tom Tykwer, così come i milioni di fan di Sense8. Un prodotto dove il genere neppure è contemplato, dove le salse per approcciarci ad una vera e propria festa dei temi contemporanei, si perdono nella forza della mescolanza, del tutt’uno, della globalizzazione. Ma un global senza riferimenti predatori, più come fratellanza, una comunione che travalica addirittura i pilastri del social, davvero l’ultima barriera. Babylon Berlin sembra un’estensione, una dietrologia dello spezzettamento, e non solo per motivi storici. Sappiamo, come ci ricorda l’ottima Hannah Arendt, che il collasso dello Stato Nazionale, oltre ad essere concausa dell’antisemitismo, ha favorito i contatti con l’altro. Dunque partire dalla crisi economica della Repubblica di Weimar, salvandone la sfrenatezza, quella darkness che in teoria avrebbe fatto spuntare un nuovo sole, è una scelta azzeccatissima, perché permette di assicurarsi la teatralità, richiamando la Babilonia di Alessandro Magno, picco massimo di diversità congiunte. Inoltre, ci mostra la Berlino che conosciamo oggi, quella capitale avanguardista, vedi il numero musicale nell’epilogo, che dalle ceneri in cui è sprofondata raccoglie sempre il -babylon-berlin-feiert-am-13-oktober-premiere-auf-sky-1granello giusto, il metallo su cui riforgiarsi e addirittura avanzare rispetto ai vicini. A ciò, la nascita del Partito Nazional Socialista, quel gigante che di strategie di fratellanza ne sapeva parecchio, e noi più di altri ce lo ricordiamo. Però Babylon Berlin strizza l’occhio anche ai nostri populismi di destra, quelli convinti di soddisfare desideri e bisogni di tutti. Come vediamo dalle prime due puntate, gli interessi dei personaggi sono molteplici, così come le provenienze, gli sforzi quotidiani, gli approcci lavorativi, le ideologie (sostenitori di Stalin, controrivoluzionari pro Trotsky, ecc.) Occorre dare per ricevere, c’è bisogno di allearsi; sia chiaro, ognuno guarda al proprio orticello, ma il bene comune, il salvataggio dalla catastrofe, il video cui si fa riferimento, si guadagna un meritato primo piano.

La questione del video è quanto di più intrigante. Ryan Murphy aveva provato a trattare il Immagini della serie tv BABYLON BERLINcommercio pornografico in Weimar con la quarta stagione di AHS Freak Show, il passato di Elsa finito in tragedia. Tuttavia era solo un accenno perché le mire narrative puntavano altrove. Il mistero di Baylon Berlin ricorda più la Dalia Nera di James Ellroy, nonostante il salto di vent’anni. Liz Short appariva in un filmato birichino, “preda” di figure molto più alte di lei; un tassello importantissimo, compromettente, e al tempo stesso collante del mondo cui la giovane voleva appartenere. In Babylon Berlin vediamo un frame, due donne in pose dominatrici e un uomo seduto con la faccia invisibile. Tutti sono ossessionati da questo “racconto” visivo, esigono il resto come se ne valesse di vite, equilibri economici…ancora non sappiamo. Tuttavia, la centralità dell’immagine, se indugiamo nel senso lato, regge i frenetici novanta minuti.

Come raccordo al concetto di riavvolgimento, quindi di narrativa dietrologica, troviamo ilsky_17-07_gallery_babylon-berlin_1-scaled-1 carissimo flashback. Però, e sembra quasi di vedere le sessioni di The Master, ad occuparsene è il progresso scientifico, in particolare neurologico. Benvenuti nel mondo del rewind!. Ad aprirci i cancelli è un’operazione parafreudiana, una seduta cui si sottopone il protagonista, il commissario Gereon. Un poliziotto abbastanza buono, un po’ sprovveduto, ma soprattutto enigmatico. Non guardiamo dai suoi occhi, non siamo immersi nei suoi pensieri, c’è distanza, come se non potessimo appropriarci del tutto di una prospettiva, e non solo per il il giallo, ad ora lo strato predominante, o il mantello narrativo a chiazze. Quel rewind è radice genelogica della fruizione odierna, la smania del fact checking, della ricostruzione, di quell’immensa dimensione che gli altri ci nascondono e che noi vogliamo vedere. Se condividi, allora fallo per bene. Babylon Berlin ci dimostra attualità, intelligenza scrittoria, senso estetico, tutte premesse ottime che speriamo non vengano disattese.

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