#RomaFF12 – Nysferatu – Symphony of a Century, di Andrea Mastrovito

La propaganda forzata assume per Mastrovito un’importanza centrale nell’economia della messinscena, ma finisce malauguratamente per depotenziarne quasi del tutto l’efficacia visionaria

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Andrea Mastrovito, bergamasco di stanza a New York, classe 1978, ha esposto le sue videoinstallazioni e realizzato le sue performance tra Roma, Milano, Losanna e gli States. NYsferatu è il suo tentativo di mossa di avvicinamento al cinema, una sessantina di minuti di proiezione in animazione rotoscopica virata in bianco e nero (35000 tavole in movimento, tre anni di lavoro). E’ probabile che il fascino maggiore dell’operazione dell’artista sia nella natura componibile del progetto: uno potrebbe pensare a decine di diverse versioni “aperte” dell’opera, rimescolare le tavole disegnate, animarle in maniera differente, smontarle in spazi espositivi, utilizzare altra musica (magari eseguita dal vivo) per sostenere il racconto oppure rimescolare quella originale composta da Simone Giuliani, sontuosa partitura orchestrale elettroacustica che non si discosta molto dai binari delle sonorizzazioni di film muti come vengono impostate correntemente.

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Visto invece in questa natura pensata per il grande schermo della Festa di Roma, il paradosso è che NYsferatu appaia eccessivamente chiuso in una forma che ne strizza le potenzialità immaginifiche piegando tutti gli elementi verso un’interpretazione univoca, un messaggio forzato che con ogni evidenza per Mastrovito assume un’importanza centrale nell’economia della messinscena (di fatto ogni ombra, ogni allegoria, ogni segno sul quadro non fa che rafforzare la tesi del j’accuse), ma finisce malauguratamente per depotenziarne quasi del tutto l’efficacia visionaria.
La presa di posizione politica, per quanto in più punti condivisibile, fallisce appunto nel sostenere l’atmosfera da incubo che questo Nosferatu siriano a Ellis Island dovrebbe recuperare dall’iconografia arcaica del vampiro originario del secolo del Cinema (a proposito di centuries…). Se l’esperienza intellettuale più di una volta sorride degli incastri tra i riferimenti, le stoccate e le note a margine zeppe di provocazioni quasi da street art concettuale, l’attraversamento della materia di Mastrovito non ribolle mai per davvero della rabbia come anche della putrescenza evocate dalle immagini e dal racconto aggiornato del conte immigrato che porta la peste in città.
C’è insomma una discrepanza quasi incolmabile tra le ambizioni anche letterarie del film e la sua natura finale di pamphlet in bozzetto schizzato in 4:3 per una rinascita del movimento Occupy Wall Street. Alla fine, a stagliarsi nella mente sono i singoli fotogrammi in cui il simbolismo lavora con intuizioni più felici, quando si affievolisce il dispiacere di non sentire vibrare neanche per un attimo figure storicamente legate alla passione folle e al desiderio inarrestabile dal disegno stokeriano, qui invece ridotte a mero veicolo del teorema messo in campo dall’autore, il cui intento di propaganda avvicina il suo Nosferatu più ad alcune avanguardie legate all’ideologia che a quelle interessate alle forme, più Riefenstahl a cartoni insomma che Murnau.

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