#RomaFF12 – Prendre le large. Incontro con Gaël Morel e Sandrine Bonnaire

Incontro con Gael Morel e Sandrine Bonnaire, ospiti della Festa del Cinema di Roma per presentare il film Prendre le large inserito nella selezione ufficiale

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L’incontro con la stampa del regista e della protagonista di Prendre le large è servito soprattutto ad approfondire e rimarcare alcune delle tematiche affrontate nel film ed il loro significato sociale e politico. A partire dal confronto di due realtà piuttosto lontane come la Francia ed il Marocco, messe inevitabilmente a confronto sotto il profilo lavorativo e dell’accoglienza verso lo straniero. Morel spiega “non era mia intenzione trasmettere la sensazione che lei lasciasse un inferno per approdare in un paradiso, è uno dei problemi che mi sono posto durante la scrittura della sceneggiatura. In Marocco una donna non può vivere una vita piena, mi interessava questo paradosso, così come mi interessava mostrare questa immigrazione al contrario.” La posizione di Sandrine Bonnaire su questo tema è la medesima con un appunto su una forma di solidarietà che è difficile riscontrare nella sua madrepatria e che invece a Tangeri è presente, un aspetto positivo che aiuta il suo personaggio a rinascere, ad andare verso la luce. “C’è questo rapporto forte con la donna (la proprietaria dell’albergo che la ospita) ed il ragazzo (il figlio della proprietaria), un rapporto con quest’ultimo che non innesca un vero e proprio processo di transfert ma le fa scattare il ricordo.” Quello che interessava a Morel non era sicuramente quello di distribuire alcuna condanna verso i suoi personaggi, ma soltanto di comunicare la sua personale visione del mondo, di come vorrebbe che fosse.

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Passando al personaggio di Edith, una donna forte che per non perdere il posto di lavoro rifiuta un indennizzo e decide di trasferirsi in Marocco, ed a quale è stato il lavoro di costruzione è la protagonista che fornisce alcune delucidazioni. “Abbiamo costruito il personaggio in maniera semplice, cercando di illuminarlo, prima indossava degli abiti scuri perchè in Francia è in totale solitudine, anche i capelli sono più spenti, poi diventano più luminosi, certo niente di ostentato, non deve essere necessariamente trasandata perchè è un’operaia.” Sui costumi anche il regista dice la sua, premettendo che gran parte del merito è di Sandrine che ha la grazia necessaria per illuminare la scena, avanzando un paragone con i costumi di Ingrid Bergman in Stromboli di Rossellini, nella quale l’attrice aveva abiti molto modesti anche se il suo fascino rimaneva intatto. “Edith si apre anche ad una forma di sensualità, riscopre il suo corpo, la sua femminilità, mette abiti più corti, senza passare attraverso un personaggio maschile.”

Infine il discorso cade inevitabilmente sul lavoro, sulla perdita dei diritti con migliaia di imprese che scelgono di spostare la sede lavorativa per abbattere i costi di produzione, con i lavoratori che subiscono una forma vera e propria di ricatto. “Edith ha un accanimento nel voler continuare a lavorare, potrebbe restarsene in Francia ma preferisce lavorare per dare un senso alla propria vita. Il personaggio ha una forza straordinaria ed anche il lavoro più umile non la cambia.” Per affrontare la tematica in maniera adeguata il regista racconta di essere partito dalla legislazione sul lavoro, una legge che permette alla aziende che delocalizzano di sottoporre ai dipendenti queste condizioni umilianti. “Molti spagnoli ad esempio hanno scelto la strada del Marocco, per adesso in tanti in Francia rifiutano, ma visti i tempi non è detto che questo non possa succedere.” L’ultima parola spetta alla Bonnaire per rispondere al quesito se una parte di Edith è realmente presente in lei, se ci sono delle affinità che la legano a questo personaggio, ad esempio il senso del lavoro. Una domanda che le farà parlare delle sue origini modeste. “Edith mi ricorda mio padre, che era un operaio, con un salario miserevole, un motorino. Ho avuto la fortuna di cominciare a fare cinema all’età di quindici anni, ma rimango comunque legata alla mia famiglia, per loro la vita è rimasta la stessa, è importante non dimenticare da dove si viene. Mi aiuta anche nel mio lavoro. Questo lavoro è stato semplice, non c’è voluto uno sforzo intellettuale, ma viscerale.”

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