#RomaFF13 – 1938 – Quando scoprimmo di non essere più italiani, di Pietro Suber

80 anni dopo l’emanazione delle leggi razziali è necessario riportare alla luce l’esperienza di chi le ha vissute sulla propria pelle. Pre-apertura della Festa del Cinema di Roma 2018

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Nel 1938 Benito Mussolini decise di emanare le leggi razziali. Prima di allora non aveva mai mostrato segni di antisemitismo. Come è potuto succedere che coloro che fino a quel momento erano considerati regolari cittadini italiani si siano ritrovati da un giorno all’altro esclusi dalle attività pubbliche, dalle scuole, dai negozi, per poi essere umiliati, perseguitati, deportati? Quell’anno ebbe inizio uno dei periodi più oscuri della storia italiana. A 80 anni di distanza il documentario 1938 – Quando scoprimmo di non essere più italiani, diretto da Pietro Suber, cerca di riportarne a galla la memoria. Il rinnovato successo delle ideologie nazionaliste ai giorni nostri sembra suggerire l’urgenza di ricordare le conseguenze delle leggi razziali, tanto che un altro film dal tema analogo (1938 – Diversi) è in uscita nelle sale italiane nello stesso periodo.

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Il film di Pietro Suber porta alla luce non solo l’esperienza dei perseguitati, ma anche dei persecutori. La testimonianza dei protagonisti che hanno vissuto quel periodo è affiancata da materiali d’archivio. Attraverso filmati, immagini, documenti pubblici e privati il documentario propone una ricostruzione della vicenda da più punti di vista. Dalla storia del Moretto che si salvò instaurando un rapporto con la figlia di un collaborazionista fascista, a quella di presunti delatori fascisti accusati di aver denunciato i vicini ebrei ai tedeschi. Dalla vicenda della famiglia Schonheit sopravvissuta ai campi di sterminio, a quella di un’ebrea che si salvò nascondendosi nella casa di un incisore del Vaticano.

Non viene inoltre trascurata la delicata questione delle strade che portano il nome degli scienziati che hanno firmato il Manifesto della razza, il documento che tentava di dare un fondamento scientifico alla presunta inferiorità degli ebrei. Se da un lato sembra inappropriato intitolare una strada ad uno scienziato fascista, dall’altro c’è chi rivendica l’innocenza di alcuni dei firmatari. È il caso della giornalista Stella Pende, nipote dell’endocrinologo Nicola Pende, che dichiara che il nonno non ha approvato la sua firma al Manifesto (ma un documento ufficiale firmato non esiste, c’è solo una lista di nomi pubblicata pochi giorni dopo il Manifesto) e si oppone alla scomparsa della targa di una via a lui dedicata.

La memoria di ciò che è stato sta svanendo e la conoscenza dei fatti delle giovani generazioni è sempre più labile. 1938 – Quando scoprimmo di non essere più italiani è un monito necessario su ciò che può diventare l’estremismo nazionalista.

 

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