#RomaFF13 – Beautiful Boy, di Felix Van Groeningen

Groeningen delega fin troppo alla sceneggiatura il compito di denunciare ma quando non trascura la regia riesce a regalare splendidi giochi di luce che raccontano l’amore di un padre per il figlio.

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Durante una lezione al college, Nic Sheff legge una poesia di Bukowski in classe. Il poeta elenca alcune piccole cose, certi aspetti del quotidiano, come le noci o il colore arancione. Li elenca e esprime odio per loro. Ma comunque decide di cantarli e di innalzarli in poesia. Di dargli importanza. Questo perché, è un fatto assodato, nella letale semplicità della quotidianità, c’è bellezza e c’è veleno. La si odia ma non si può fare a meno di viverla, in certi casi la si soffre, si percepisce il peso di ogni singolo secondo.

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Nel 2008 l’Houghton Mifflin pubblica Beautiful Boy: A Father’s Journey Trough Is Son’s Addiction, del giornalista David Sheff. Il romanzo è un’estensione di un articolo per il New York Times, un pezzo intimo e sincero dal titolo My Addicted Son. Il figlio in questione è Nic Sheff, affetto dalla “malattia” della quotidianità che il ragazzo cura con la dipendenza. Solo quella sembra poter attutire il peso dei secondi, o riempire una mancanza interiore. La dipendenza in questione si nutre di ogni tipo di sostanza: alcol, eroina, cocaina e ovviamente il Crystal Meth ossia la metanfetamina in cristalli, prima causa di morte delle persone al di sotto dei cinquant’anni negli Stati Uniti. Poco tempo dopo la pubblicazione del primo, esce un altro romanzo, l’altra prospettiva, quella di Nicolas che scrive 336 pagine dal titolo Tweak: Growing Up on Methaphetamines. Crescere con la metanfetamina.

Il regista belga Felix Van Groeningen sbarca in America a dirigere Steve Carrell e Timothée Chalamet, alternando questi due  punti di vista, quello di Dave e Nic Sheff, creando un ponte di immagini fra i due romanzi, giocando ed alternando, come già nel suo Alabama Monroe, i piani temporali.
È così che nasce Beautiful Boy, che ci rimanda subito alla prima strofa della canzone di John Lennon: chiudi gli occhi, non temere, il mostro se n’è andato, sta scappando e tuo padre è qui, meraviglioso ragazzo. Solo l’amore può generare queste parole, del resto guardando Beautiful Boy, capiamo subito di trovarci al cospetto dell’amore gigantesco di un padre verso il figlio. Un amore restituito al meglio dai due attori, tanto che ci sembra da subito un po’ troppo grande. Ma non è certo semplice considerare un errore l’eccesso di amore. E in fondo si parla di un rapporto imperfetto, intrinsecamente fallace, quello dei genitori verso i figli. Un amore che si vuole disperatamente impeccabile ma che comunque fallisce.

Forse l’aspetto più interessante di Beautiful Boy è che tutto nasce da un articolo di giornale, che poi diventa libro, come se la cura, invece della dipendenza, diventassero le parole. Pensieri messi nero su bianco, un buon modo per oggettivare e distanziarsi, per essere più lucidi di fronte ad un amore straziante. Scriverlo per vederlo meglio, chiarirne i contorni, trovarne linee e confini. Allo stesso tempo un articolo di giornale è sempre uno spotlight, un puntare i riflettori. Il film di Van Groeningen viaggia su questo doppio binario, affidando, fin troppo, il lato della denuncia alla scrittura cinematografica (a due mani con Luke Davies): la sceneggiatura ferrea urla l’urgenza di questo problema globale,  segue l’andamento oggettivo dei fatti, come se fossimo di fronte ad un resoconto giornalistico, serio, rigido, troppo ragionato. La avvertiamo questa scrittura, scena dopo scena, ne intuiamo subito le intenzioni… quando la maggior parte delle volte (probabilmente tutte) bastano le immagini a gridare.
Ma Van Groeningen in parte lo sa e quando non trascura il lato visivo, lo accompagna con eleganza ad un sottofondo musicale centellinato a dovere. Così con la regia segue i giochi di luce e i riflessi d’acqua che illuminano il giardino. Il legno che scalda la casa, gli sguardi incantati e quelli distrutti, i ricordi lontani della purezza dell’infanzia. Quelli dove la quotidianità non pesa e l’amore genitoriale non perde mai.

 

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