#RomaFF13 – Corleone: Il potere e il sangue/La caduta, di Mosco Levi Boucault

Nel racconto su Cosa Nostra, l’ascesa e caduta del boss Toto Riina e le mille vittime della guerra di Palermo, c’è tragedia e assurdo, sangue e dolore, dramma e teatro, ma c’è anche tanto Cinema

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“Tu hai fatto di questa fortunata terra l’inferno tuo”
Enrico VI, William Shakespeare

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Nel documentario Corleone: il potere e il sangue (parte prima) e Corleone: la caduta (parte seconda) del regista bulgaro naturalizzato francese Mosco Levi Boucault (Erano le BR, Berlusconi l’affaire Mondadori) – selezione ufficiale al RomaFF13 – ci sono tragedia e assurdo, sangue e dolore, dramma e teatro, ma c’è anche tanto Cinema. Nato dalla voglia d’indagare sul mito dietro il nome Corleone, a proposito dell’immaginario di Il Padrino di Coppola, il film comincia con una esplosione spettacolare, che supera qualunque messa in scena di un action movie. In realtà si tratta della riproduzione della strage di Capaci, attentato compiuto da Cosa Nostra che uccise nel 1992 il magistrato italiano Giovanni Falcone – celebre per la sua lotta contro la mafia siciliana di Totò Riina – la moglie e tre uomini della scorta, Vito Schifani, Roco Dicillo e Antonio Montinaro – la cui vita è raccontata nel film Vi perdono ma inginocchiatevi di Claudio Bonivento.

Seguendo uno stile narrativo quasi “tarantiniano”, iniziando dall’epilogo, senza una

cronologia lineare, diviso in capitoli e presentando i personaggi come se fossero tratti da un fumetto, un giallo o una tragedia greca, il racconto in chiave di favola nera – c’era una volta un contadino chiamato Toto Riina che da bambino vede morire padre e fratello, che uccide per la prima volta a 19 anni e poi diventa il sovrano assoluto del regno della Cosa Nostra; mentre dall’altro lato del castello, un perdente della Guerra, Tommaso Buscetta, vive per vendicare la morte di tutta la sua famiglia tra le mani di Riina – con la voce profonda e coinvolta di Maya Sansa, propone un percorso attivo, sveglio, veloce, facile da seguire ma difficile di digerire. Dove l’approccio didattico e antropologico, che permette di avere una certa distanza analitica, s’incontra con la verità dell’archivio, le telecamere di sorveglianza, il racconto frammentato dei media, il primo piano del corpo insanguinato di uno dei “mille morti di Palermo” – come racconta anche il libro omonimo di Antonio Calabrò -, la brutalità e l’eloquenza di un’immagine.

Così come i grandi classici della letteratura e il cinema universale, sembra che l’argomento proposto questa volta da Levi Boucault non sarà mai esaurito. Quanti film, documenti, libri e immagini servono per raggiungere un senso compiuto su Cosa Nostra e tutti suoi strati? Come si potrebbe esaurire un racconto che parte dalla rappresentazione iconografica e organica della storia della Sicilia? Non soltanto in quanto a crimine organizzato, ingiustizia, tragedia e morte, ma anche uno scatto culturale e sociale sulle dinamiche costruite tra diverse cupole di potere, sul significato della parola “vendetta” e “onore”, sulla storia di un fenomeno che – come una sorta di fiaba dickensiana – nasce dai contadini che sfuggono dalla precarietà, dall’essere considerato “nessuno”, si espande sul territorio e crea un sistema sociale dentro una società già stabilita. Uno tutto suo, dove si può entrare e mai uscire.

In una delle interviste, il magistrato Giuseppe Ayala ci ricorda, con una certa ironia, l’etimologia della parola mafioso: “Uomo di rispetto”. E infatti, la pace e la guerra, la morte e la vita, tutto sembra determinato dalla mancanza di un senso di rispetto, di dignità, condizionato sempre dallo sguardo degli altri e la fragilità di un giudizio, della lealtà, del senso di amicizia e famiglia. Alla fine, tutto quanto ha da fare con due sentimenti profondamente religiosi: l’amore e la fede. Come se fosse un sistema divino dove l’unica punizione e salvezza possibile è la morte.

Infatti, Corleone, Il potere e il sangue/La caduta si costruisce come la cronaca di una morte annunciata. La morte come certezza, come condanna garantita e anche come scelta e mobilità. Morire per Cosa Nostra come unico modo di vivere. Morire pure in vita, come i “pentiti” intervistati nel documentario, coi visi e le mani coperti, quelli che hanno “ucciso” la loro vecchia identità e parlano della loro vita precedente come se fosse parte di un’altra dimensione. Tutti personaggi – vittime e carnefici, eroi e codardi, protagonisti e osservatori – s’avvicinano alla morte come se gli appartenesse, mentre la macchina da presa percorre il cimitero di Corleone e Palermo, i ritratti in bianco e nero rovinati ma sorridenti che si confondono poi con la foto dell’appena catturato e sorridente Toto Riina. Quelle immagini che si alzano fiere e incolumi, perché hanno raggiunto il loro obiettivo di non essere più “nessuno”, ma rimanere vivi nella memoria collettiva.

Arriverà un giorno, però, la fine del racconto, il tramonto della Mafia? Ricordando il suo collega e amico Giovanni Falcone, Giuseppe Ayala guarda in macchina e risponde così: Prima di morire, lui ha detto: la mafia è soprattutto, un fenomeno umano. E tutti i fenomeni umani hanno un inizio, un apogeo, un crepuscolo e una fine. Quindi la fine, credo, arriverà. La domanda fondamentale, però, è il quando…” 

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