#RomaFF13 – Correndo atras, di Jeferson De

Il terzo lungometraggio del regista brasiliano è un passo di calcio che attira l’attenzione e può pure essere la promessa di goal, ma che non arriva alla mossa vincitrice. Selezione ufficiale.

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La vita del carismatico e ruffiano Paulo Ventania (Ailton Graça) sembra una corsa continua dietro qualcosa. Un’infanzia e un’adolescenza dietro un pallone nella periferia di Rio di Janeiro, nella speranza di diventare altro che una promessa del calcio brasiliano. La ricerca di un lavoro fisso e degno, mentre prova a sopravvivere vendendo chincaglierie in mezzo al traffico della città. La rincorsa instancabile dietro un senso di stabilità, che gli permetta di raggiungere un nuovo rapporto con il figlio e l’ex moglie. Allo stesso tempo, una costante fuga, la necessità di scappare, di nascondersi, di correre lontano per evitare che qualcuno scopra la menzogna su cui costruisce il suo quotidiano. Questo vivere sempre nel “quasi”, nella promessa di una conclusione, dell’arrivo di un sogno o di una chiusura, è allo stesso tempo sospensione e mobilità, ma soprattutto è l’unico stile di vita che Paulo conosce: continuare ad andare avanti col pallone trapassando tutti gli ostacoli che possa trovare nel percorso, anche se non arriva mai a tirare in porta.

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Ma nella corsa di Correndo atras – terzo lungometraggio del brasiliano Jeferson De, selezione ufficiale a RomaFF13 – c’è qualcuno che ferma il pallone: Glanderson, un ragazzo della periferia che gioca a calcio per strada a piedi nudi, che ha solo tre dita nel piede destro e un talento fuori dal comune. Questa volta, Paulo anche si ferma, riconoscendo in Glanderson l’opportunità non solo di gestire la carriera del prossimo “Neymar” ma di raggiungere finalmente quel momento di gloria che è stato sempre convinto di meritare.

Tratto dal libro di Helio de la Peña Vai na Bola, Glanderson, la proposta di Jeferson

De sembra pure una corsa, una serie di eventi e gag incatenati che augurano sempre l’arrivo di un senso, di una chiusura, di un incontro definitivo. Ma che rimangono lì, nel territorio dell’aspettativa. Nella sua filmografia, il regista brasiliano ormai ha sempre rincorso una realtà che gli sta vicina ma non è proprio la sua: dal suo primo lungometraggio Broder (2010) – tentativo di riprendere la violenza della periferia di Sao Paulo, quando tutto il cinema brasiliano si occupava di ritrarre la vita e la morte nelle Favelas di Rio di Janeiro – e poi O amuleto (2015), che cerca di arrivare alla radice di un crimine nella città di Florianopolis.

Ma a quanto pare, tutte le strade portano a Rio. Stavolta, l’approccio del regista alla controversa città carioca avviene attraverso lo strumento della commedia per riprendere una dimensione decadente o tragica, uno sguardo frenetico a una realtà che si muove – come tante altre città latino americane – tra l’effervescenza, il rumore e la precarietà. Sin dall’inizio e seguendo un po’ la traccia di Tropa de elite City of God – almeno a livello visivo – Correndo atras si costruisce sotto l’estetica del videoclip, sulla frammentazione e l’emozione di un attimo, come se fosse uno spot pubblicitario, una campagna di marketing che attraverso l’umorismo e le immagini colorate prova a inviare un messaggio strappalacrime ed edulcorato: Se hai un sogno, devi corrergli dietro. Se corri abbastanza veloce, prima o poi ce la farai.

Al di là di dello spirito propagandistico che si intuisce nella narrazione e coinvolge pure la promozione del film – declamando di essere il primo film brasiliano “100 per cento black, scritto, diretto e recitato solo da attori neri“, proclamazione che rimane lì, in superficie,  soltanto nella propaganda – Correndo atras finisce per essere una catena di momenti colorati, freschi e divertenti ma che non raggiungono un senso di unità, una direzione comune, o almeno una certa profondità. Una visione frenetica che segue il ritmo della samba, l’ingenio di Paulo e i piedi veloci di Glanderson ma che non ferma il pallone per respirare e capire bene cosa sta succedendo. Un passo di calcio che attira l’attenzione, fa rumore e può pure essere la promessa di goal, ma che non arriva mai alla mossa vincitrice.

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