#RomaFF13 – FLAVIOH – Tributo a Flavio Bucci, di Riccardo Zinna

Non un lavoro organico ma un flusso disordinato che esce dalla forme classiche del documentario e diventa un dialogo-confessione on the road tra Flavio Bucci e Riccardo Zinna

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Non un classico documentario. Ma una confessione. On the road. Un viaggio che è prima di tutto quello tra Flavio Bucci e Riccardo Zinna, l’attore teatrale e cinematografico che ha recitato, tra gli altri, anche in Gomorra e Benvenuti al Sud scomparso il 20 settembre scorso. Quindi innanzitutto un dialogo. Con la troupe che, dall’inizio, organizza il suo lavoro prima che parta. Anche se il film è già cominciato. Con Flavio Bucci che sta per mandare all’aria il progetto; si sta lamentando infatti che non ha l’albergo e la sedia col suo nome dove sedersi. Poi inizia il viaggio. Nella carriera e nella sfera privata dell’attore. Che ripercorre le fasi più importanti della sua carriera. Dagli inizi con Elio Petri fino al grande successo televisivo di Ligabue che lo aveva lanciato come uno dei più importanti attori italiani. Poi il buio. L’alcol, le droghe. E una carriera ondivaga. Che avrebbe potuto essere differente.

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Già dalle voci al buio nei titoli di testa c’è già una parte di FLAVIOH: “Si è rovinato con le proprie mani”; “Un vero antidivo”. Si attraversano anche spezzoni dei suoi film. Il suo volto coincide essenzialmente con quello di Ligabue. Ma al tempo stesso si vedono altri frammenti tra cui La classe operaia va in paradiso, L’Agnese va a morire, Circuito chiuso e il suo spettacolo su Leopardi. Ed escono fuori anche aneddoti. Da Gian Maria Volontè che lo aveva portato ad iscriversi alla sede del PCI appena arrivato a Roma. E bordate. Contro John Travolta, di cui è stato doppiatore per La febbre del sabato sera (“Me lo presentarono, gli dissero che io ero la sua voce italiana. Risposi che, allo stesso modo, lui poteva considerarsi la mia faccia americana”). E Alberto Lattuada. Che non l’aveva scelto per l’adattamento cinematografico di Cuore di cane che lui aveva portato a teatro prendendo al suo posto Cochi Ponzoni.

Cinema, doppiaggio (tra gli altri, anche voce di Depardieu), produzione (Eccebombo di Moretti). Non è un lavoro organico. Non vuole neanche esserlo. Ma è quasi un flusso disordinato. Di pensieri, parole. Sempre tra il passato e il presente. Con testimonianze di un commosso Alessandro Haber ma anche di Michele Placido e Giuliano Montaldo. Della prima moglie Micaela Pignatelli e dei due figli Lorenzo e Alessandro che ne parlano anche come di una “persona piena di sé ed egocentrica”). E della seconda moglie, la produttrice olandese Loes Kamsteeg e del figlio Ruben. Quello che racconta rende ancora tutto più forte; lui e la  madre già capivano in che condizioni era già da come rispondeva “Pronto” al telefono.

Tutto il contrario di un documentario celebrativo. Zinna non fa nessun sconto. Mette a  nudo tutti i lati oscuri di Flavio Bucci. Le sue contraddizioni. Un momento prima afferma, parlando degli attori, che “il pianeta può fare anche a meno di noi, non siamo indispensabili”. Ma subito dopo, parlando di se stesso, puntualizza: “si sono fatti film anche senza di me”.

Il viaggio ripassa anche per Torino. La casa dove abitava, il cinema Maffei che ora proietta i porno. Si entra a contatto con il fratello, i parenti. Il momento più forte è l’incontro con la madre novantenne. Non solo il suo ma anche quello di Zinna. Come se Bucci si fosse portato un amico a casa. Ed è proprio la sfera privata che a un certo punto fa esplodere FLAVIOH. In un documentario dove mancano certo parti importanti della sua carriera (es. Suspiria) ma in cui entra in gioco tutta la sua vita. E Flavio Bucci c’è immerso. Con la sua inconfondibile e contagiosa risata.

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