#RomaFF13 – Jan Palach, di Robert Sedláček

Jan Palach, di Robert Sedláček presente alla Festa del Cinema di Roma racconta di un martire della resistenza cecoslovacca,che decise di immolarsi per protesta contro l’invasione sovietica

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Jan Palach è ricordato come uno dei martiri delle resistenza cecoslovacca all’invasione dell’Unione Sovietica, entrato nei libri di storia per essere stato la prima torcia umana nel suo paese, cioè lasciandosi bruciare volontariamente come gesto dimostrativo per risvegliare le coscienze addormentate. Robert Sedláček gli dedica un biopic ambientale dove tenta di ricostruire passo dopo passo gli avvenimenti che hanno preceduto la morte dentro un contesto innanzitutto familiare e scolastico.

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Dal legame molto stretto con la madre si lascia percepire un ragazzo dal carattere non molto diverso da un tipo piuttosto normale, qualche germe di ribellione, qualche protesta molto composta, ma nulla di troppo problematico da gestire, un rapporto che nel film permette al regista di introdurre un discorso di insensibilità verso un’occupazione militare tollerata passivamente. Nell’esposizione del quotidiano, con l’indifferenza figlia della convenienza, più che di una reale adesione agli ideali di partito, viene tentata una spiegazione plausibile per questo vulnus di senso dello stato in un paese che già gravitava dentro l’area sovietica, e che fu vittima dell’aggressione senza battere ciglio, nella convinzione piuttosto diffusa di sostanziale continuità rispetto al passato.

L’altro importante segmento del film racconta di Jan Palach iscritto alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Praga. Proprio dove, da studente, ebbe l’opportunità di venire a contatto con una parte più impegnata culturalmente e meno tollerante di una erosione dei diritti che, forse per ingenuità, risulta davvero indigesta. Gente disposta a cominciare magari una lotta che la vede totalmente isolata e sconfitta in partenza, inizialmente determinata a non arrendersi, poi colpita, già dopo le sole minacce, dalle prime defezioni. Quell’esperienza, insieme ai lavori formativi in Francia ed in Kazakistan, permetterà al giovane di avvicinare argomenti e conoscere dei fatti caduti in patria sotto la scura della censura, con la beffarda voce della Pravda (Verità) distribuita capillarmente, che finiva per schiacciare il dissenso in un angolo con l’intenzione di soffocarlo.

L’idea di Sedláček sembra quella di descrivere un eroe suo malgrado, che escludendo qualche una blanda capacità retorica non ha granchè di brillante, è ridotto ad uno stato dormiente e quanto a coraggio sarebbe classificabile come giovane di medio bassa incoscienza, neanche lontanamente associabile ad un comportamento eclatante. Ed attorno a questa figura di campione depotenziato stende il torpore, la rassegnazione, l’inedia morale, la sfiducia, e gli affianca dei modelli che non vanno mai oltre un limite di sicurezza ben visibile, preparando di fatto, con la distesa di tale background, il terreno per l’atto finale. Un sussulto che provocò immediata indignazione, come dimostra la massiccia partecipazione ai funerali del ragazzo, conseguenze però assenti nella trasposizione cinematografica.

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