#RomaFF13 – Noi siamo Afterhours. Incontro con la band

Alla Festa del Cinema di Roma, in occasione della prima mondiale del documentario Noi siamo Afterhours, si è tenuto un incontro con la band di Manuel Agnelli e il regista Giorgio Testi

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La sala Petrassi dell’Auditorium di Roma oggi ha visto riempire il suo palco dalle tante sedie che hanno ospitato la band completa degli Afterhours e con loro anche il regista Giorgio Testi. In occasione della prima mondiale del documentario intitolato Noi siamo Afterhours svolta durante la tredicesima edizione della Festa del Cinema, hanno incontrato la stampa in cui ci hanno parlato di come hanno realizzato e cosa hanno tentato di esprimere nel loro documentario.
Giorgio, il regista,che dopo anni con la band sembra quasi farne parte come fosse uno dei membri, da subito ci spiega come è nata l’idea di raccontare la band in un documentario: “Abbiamo iniziato a pensare a questo progetto già nel 2017, quando hanno deciso di fare il concerto evento one-off, da lì abbiamo iniziato a pensare all’aspetto scenografico del concerto, e poi siamo passati ad altri argomenti riguardanti più la regia del concerto e da lì abbiamo continuato ad andare avanti, capendo che ci trovavamo davanti ad un’occasione irripetibile dato che si trattava di creare un documentario che potesse raccontare trent’anni di carriera attraverso un unico concerto e l’utilizzo di spezzoni documentaristici precedenti. E continua: “Un aspetto che mi ha sempre affascinato è quello del backstage, del momento prima di salire sul palco, un momento in cui molto spesso avviene una sorta di trasformazione, e in quel momento si vede venir fuori il vero artista. Attraverso la voce fuoricampo così intima di Manuel abbiamo voluto esprimere quel momento”.
Un documentario su una band va spesso a costituire un momento significativo della carriera della band in questione, il momento in cui si sceglie di raccontare il percorso pratico, ma anche intimo ed emotivo, che la band ha trascorso. A proposito di questo Manuel Agnelli, frontman degli Afterhours, ci ha dato la sua versione: “è stato casuale il momento di trovarsi con Giorgio, così come è stata casuale la scelta di raccontarsi. C’è stato un lavoro grande ma sarebbe stato inutile se il caso non fosse intervenuto, come dico nel film, puoi fare quello che vuoi ma poi è il concerto che decide, tu puoi decidere di raggiungere uno standard di qualità medio in modo tale da arrivare comunque ad un bel risultato ma spesso se fai così ti fossilizzi, non rischi il disastro ma non riesci ad avere picchi. Se rischi invece aumenta la possibilità di fare un disastro ma allo stesso tempo se sei fortunato riesci a raggiungere picchi emotivi, così come è successo a noi durante il concerto. La magia del concerto, le immagini, il suono, in qualche modo era significativo per noi, la paura era quella di ripeterci, cosa che ti toglie totalmente il senso che dai. Il film ci aiuta tanto sotto questo punto di vista. Il film per noi è come un punto alla fine della frase, un punto di fine ma anche un punto di partenza perché è come se non avessimo più nulla da dimostrare. Ora siamo coscienti e consapevoli anche del punto da qui vogliamo ripartire.”
Tutti loro, inoltre ci tengono a sottolineare la difficoltà del progetto stesso, che essendo girato in una sola data e non in tutto il tour, come accade solitamente, costituiva un rischio assoluto. Si può dire quindi che la parte che contribuisce a rendere speciale questo documentario è proprio la magia che c’era quella sera, caratteristica che è difficilmente riproducibile. Inoltre l’audio, le voci e gli strumenti non sono stati registrati nuovamente in studio. Tutto il frutto del film proviene dalla precisione inflessibile della regia e dei fonici.
Questo tipo di cinema si avvicina molto all’atteggiamento che gli Afterhours hanno nei confronti della musica, poiché anche loro non sono mai rimasti fermi su certe forme ma hanno sempre rischiato, cosa che avvicina spiritualmente i due progetti.
Manuel conclude la conferenza raccontandoci cosa vuol dire per lui fare musica: “Ognuno di noi ha un motivo diverso per cui lo facciamo, per me è riuscire ad esprimere le cose che non posso esprimere tutti i giorni perché non sono sociali, le cose oscure, anche violente. Non vado in giro a tirare testate alle persone…ma lo vorrei, è questa la parte più oscura che appartiene a tutti noi. Sul palco puoi essere più libero di esprimere le cose non accettabili. Questo è liberatorio e consolatorio in alcuni casi e questa energia ti aiuta a crescere tantissimo. Ora, finalmente abbiamo trovato un nuovo modo di relazionarci al pubblico, un modo più empatico, abbiamo accettato quello che siamo adesso: un gruppo diversamente disturbante. E’ bellissimo continuare ad avere un senso per qualcuno, che non è la memoria, non è la malinconia di ricordare bei tempi andati, ma che è presente, che è adesso”.
Ma il progetto di questo film non finisce adesso, in seguito farà parte di un progetto più ampio che i presenti stanno sviluppando con la loro etichetta discografica, di cui sveleranno i dettagli più in là.

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