#RomaFF13 – Questo è mio fratello. Incontro con Marco e Massimo Leopardi

Pre-apertura della Festa del Cinema di Roma, il documentario tratta della malattia più comune del secolo: la depressione, attraverso i filmini familiari che ritraggono la famiglia del regista

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Pre-apertura della Festa del Cinema di Roma 2018, il documentario di Marco Leopardi dal titolo Questo è mio fratello tratta della malattia più comune del ventunesimo secolo: la depressione. Il suo documentario prende vita e si costruisce in modo estremamente intimo, cioè raccogliendo tutti i filmini che suo fratello Massimo registra durante la sua malattia. Abbiamo incontrato i due fratelli, Marco e Massimo Leopardi per poter andare più a fondo in questa storia e nel loro personalissimo modo di trattarla. Presente all’incontro anche la produttrice Donatella Palermo che da subito ci ha parlato della sua volontà di creare questo film, capace di conciliare un tema ormai universale di cui tanti tacitamente soffrono con la storia privata e personalissima di Massimo, che tramite lo schermo riesce a raccontarsi. La rarità di sentir raccontare la storia di una famiglia dall’interno, modalità che allo stesso tempo da la possibilità a molti di riconoscersi, sembrava agli occhi della produttrice una cosa straordinaria, e di straordinaria importanza.
Massimo invece, racconta di come, al momento delle varie riprese che lo ritraggono, il suo unico scopo fosse quello di guarire, di trovare una via d’uscita : “ho visionato tanti documentari sul tema della depressione, ma da questi non sono mai riuscito ad evincerne una spiegazione, perché chi li faceva era sempre qualcuno al di fuori, capace di raccontare benissimo come si svolgeva la malattia ma senza essere davvero in grado di capire cosa provava il malato e di conseguenza come uscirne. Insieme a Marco siamo riusciti, visionando ore ed ore di girato, dai filmini in pellicola di nostro padre fino ai video fatti con il mio cellulare, a metterli insieme con cognizione di causa per avere un quadro abbastanza completo. Insieme siamo riusciti a trasformare un male in un trampolino di lancio.”
Indubbia è sicuramente la passione comune, sicuramente trasmessa dal padre, quella di riprendere. Riprendere i voli con il parapendio, i tuffi fatti da una scogliera e le altre avventure, così come anche i gesti quotidiani che si vedono anche nel film. Tutte queste immagini sono poi servite, ai fini del documentario, a costruire una storia, un percorso fatto di alti e bassi che vengono documentati da Massimo durante la sua vita.
Ora rivedere quelle immagini montate e ormai pubbliche è come mettersi in piazza, completamente nudo, come lo si è in un diario privato, davanti a tutti e davanti ai tanti seguaci del suo canale che non conoscono quest’altra sua faccia. Ma il coraggio di parlarne è sempre utile e serve per combattere il tabù che c’è intorno a questa malattia.
Altro tema fondamentale nella storia è la famiglia, il racconto di un nucleo famigliare molto eterogeneo, formato da uomini ed individui diversi. Il padre è la figura di cui infatti anche durante l’incontro si parla di più. “Ho passato tutta la vita cercando di farmi vedere da mio padre – ci dice Massimo – ma non si può passare tutta la vita a cercare l’affetto e l’attenzione dai propri genitori, bisogna trovare un padre interiore ma è un lungo percorso che io ancora cerco di percorrere”. Ma la discussione va anche oltre, nel film c’è una riflessione sulle diverse concezioni che le persone hanno rispetto ai loro famigliari: la concezione che Marco e Massimo hanno del padre appare molto diversa già dal film. “Io ho usato tutti i materiali di Massimo per sviluppare il suo pensiero, ma è ovvio che essendo io lo scrutatore sono state tutte scelte pilotate, ma ho avuto anche la fortuna di dare il mio punto di vista e la questione di mio padre mi sembrava un nodo fondamentale” ci spiega il regista, che con abilità è riuscito a mediare tra i sue punti di vista differenti facendo trasparire figure neutrali.
Nel loro atto si manifesta senza dubbio una grandissima generosità, la generosità di donare al pubblico la propria esperienza, la propria intimità, la fragilità più grande messa in mostra con creatività ed egocentrismo, un egocentrismo mai fastidioso.

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