#RomaFF13 – The Miseducation of Cameron Post, di Desiree Akhavan

Dopo Lady Bird un altro coming of age al femminile, stavolta raccontato in un ottica omosessuale. Un film piccolo, ma prezioso. Premiato al Sundance.

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Qualsiasi storia adolescenziale, se raccontata con verità, può diventare un horror. E The Miseducation of Cameron Post lo è un po’ più degli altri. La violenza è soprattutto emotiva, assume una conformazione subdola all’interno di una cornice claustrofobica che soffoca le pulsioni sessuali dei giovani personaggi ma non le annulla. Quest’ultimo è forse l’elemento più interessante di questo film diretto da Desiree Akhavan, newyorkese trentaquatrenne figlia di genitori iraniani, e tratto dall’omonimo romanzo di Emily M. Danforth: il fallimento dei dogmatismi religiosi sull’ineluttabilità dell’istinto e sulle regole dell’attrazione. Del resto non esistono educazioni amorose che non siano anche esperienze passionali e questo film di Akhavan, pensato e confezionato seguendo alla lettera i comandamenti del cinema indipendente americano (il Gran Premio della Giuria al Sundance è proprio lì a dimostrarlo), sembra proprio trovare un suo nucleo nella forza onirica e fisica del desiderio, omosessuale in questo caso.

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Siamo all’inizio degli anni ’90, quando la comunità LGBT è ancora relegata ai margini della società e dell’immaginario culturale occidentale. L’omosessualità è vista dalle generazioni adulte come peccato da redimere o “curare” e i figli diventano cavie su cui applicare i paradigmi di un modello bigotto. Ne è vittima la liceale Cameron Post (C. Grace Moretz), innamorata di una sua compagna di corso che viene spedita a God’s Promise, un centro religioso di riabilitazione dalle regole ferree. Qui incontra altri coetanei che vivono i suoi stessi conflitti, quasi tutti legati alla loro sessualità o alla dipendenza da alcol e droghe.

Sembra un soggetto di Bret Easton Ellis, anche se lo stile della cineasta – qui anche cosceneggiatrice – è minimalista e guarda più al cinema di Woody Allen o Noah Baumbach. E infatti dopo Lady Bird di Greta Gerwig questo è un altro coming of age al femminile, stavolta raccontato in un ottica omosessuale diretta e senza moralismi. Un film piccolo, forse anche troppo controllato, ma comunque prezioso. Akhavan filma i giovani senza cinismo né morbosità. Racconta una storia di prigionia, per poi liberare i suoi giovani “ribelli” in un finale on the road dal sapore kerouachiano

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