#RomaFF13 – The Old Man & the Gun, di David Lowery

Sontuoso congedo dallo schermo di Robert Redford. Ma anche tutto il resto del film attorno gli funziona alla grande. Tracce della sua carriera si incrociano con le nostalgie della New Hollywood

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Robert Redford trova la porta chiusa. Sta per bussare. Poi di colpo ferma la mano. I suoi gesti restano sempre nella testa. Il modo in cui simula la pistola con le dita. Il suo saluto in La stangata. Per il suo addio allo schermo l’attore statunitense sembra ripercorrere tracce di tutta la su carriera in questo ottimo The Old Man & the Gun, terzo lungomeggio dietro la macchina da presa di David Lowery. Dove il regista riprende alcune tracce del suo secondo film, Ain’t Them Bodies Saint, dove i modelli di riferimento, nella vicenda dei due fuorilegge interpretati da Rooney Mara e Ben Foster, apparivano ancora quei gangster-movie a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, tra Gangster Story e I cmpari.

Ma stavolta, con Robert Redford che trascina in modo perentorio il film contrapposto a un altrettanto prodigioso Casey Affleck, il risultato è decisamente migliore. Il regista, anche sceneggiatore, si ispira a un articolo del New Yorker per raccontare la storia vera di Forrest Tucker, un uomo che ha trascorso gran parte della sua vita tra rapine in banca ed evasioni dal carcere. Ora, assieme ad altri due complici, continua instancabilmente la propria ‘professione’. Un ladro gentiluomo, che non minaccia e non ferisce mai nessuno. L’investigatore Hunt (Casey Affleck) inizia a argli la caccia. Ma al tempo stesso è anche affascinato da lui.

Un’ipnotica danza, che si manifesta anche nella scena del ballo di Hunt con la moglie, con a musica al piano e la colonna sonora che richiamano le atmosfere della New Hollywood. In un cinema che lavora con abilità e autentica nostalgia sul Mito, che riattiva il passato attraverso ricordi, fotografie (quella di Tucker con la moglie e la figlia), che ha un andamento lento, che va quasi contromano rispetto al genere oggi. in cui un pezzo di carta racchiude già tracce della sua storia, con le 16 evasioni dal carcere mostrate come flash, a partire da quella del 1936 da un riformatorio. Dove gli inseguimenti sembrano sovrapporsi sulle immagini di un cinema del passato. Con le auto della polizia dietro quella di Tucker. Il cofano che si apre. I soldi che escono. Oppure ancora il cinema on the road. Il viaggio senza meta  (i diversi spazi, tra cui Dallas a San Francisco, attraversati da Forrest nel 1981, anno in cui è ambientato The Old Man & the Gun). Dove i protagonisti non avevano più una casa. E Redford trova provvisoriamente quella di Sissy Spacek. Con i cavalli. Con l’apparizione dell’attrice fulminante come in Una storia vera di Lynch. Il loro primo incontro dove che si è rotto il motore dell’auto della donna è già il segno di tutto un film che spazia continuamente tra il desiderio e il rimpianto. E che ha un fascino nascosto anche nel mettere in gioco il fuorilegge e l’investigatore. Nel loro incontro nel bagno di un locale, Lowery lascia interamente la scena ai due attori. Sguardi e parole di un cinem perduto. Dove altre immagini si sovrappongono. Quelle di Warren Oates in tv in Strada a doppia corsia di Monte Hellman. Quella di Redford giovane in La caccia di Arthur Penn dove Forrest Tucker potrebbe essere l’incarnazione di Bubber Reeves di quel film, anche lui criminale evaso dal penitenziario. Che si combina anche con le identità di Sundance Kid di Butch Cassidy e il truffatore di strada Johnny Hooker di La stangata, entrambi diretti da George Roy Hill. Un congedo dal grande schermo sontuoso quello di Redford. Ma ha attorno anche un film che funziona alla grande.

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