#RomaFF13 – They Shall Not Grow Old, di Peter Jackson

Come raccontare per immagini la Prima Guerra Mondiale a cento anni di distanza dall’armistizio? Peter Jackson setaccia gli archivi e ci immerge in un’esperienza estetica tutta “contemporanea”

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Come “raccontare per immagini” la Prima Guerra Mondiale a cento anni di distanza dall’armistizio dell’11 novembre 1918? Come approcciare l’immenso materiale d’archivio a disposizione e farlo “testimoniare” ancora oggi? Insomma come far rivivere quelle tracce visive così preziose rispettando la memoria di chi le ha attraversate? Partiamo dal principio. Peter Jackson setaccia due tra i più importanti archivi britannici (quello della BBC e poi l’Imperial War Museum audio archives), riorganizza le fonti associando parole e immagini e tenta infine un’operazione rischiosissima. L’archivio sonoro dei reduci – in una monumentale operazione di ricostruzione delle memorie orali sulla guerra – è l’unica voice over di They Shall Not Grow Old (un verso tratto dal poema For the Fallen di Lawrence Binyon). Ecco che in questa memoria condivisa che parte dal basso, ossia dal punto dei vista dei testimoni oculari, i “ricordi” non possono configurare direttamente i massimi sistemi e le grandi questioni politiche o economiche che hanno portato al conflitto. Possono solo attraversare gli eventi contingenti: il viaggio, le paure, gli abbracci coi compagni, le malattie, le speranze, le perdite, i proiettili e la terra negli occhi… insomma attraversare la guerra con le conseguenze sulla carne e sulla psiche delle persone coinvolte.

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Partiamo: le immagini in 4:3 e in bianco e nero, rovinate dal tempo, storicizzano da subito la visione e ci immergono in quel passato londinese inequivocabilmente associato all’inizio del ‘900. L’apparato iconografico d’epoca (pubblicità, vignette, giornali di propaganda) crea un filologico tappeto visivo soffermandosi sulla gioiosa inesperienza di molti diciottenni chiamati a formarsi nell’esercito inglese. Le “macchine” invadono la loro quotidianità e tra questi dispositivi frutto della “modernità” fa capolino anche la macchina da presa: occhio meccanico scoperto spesso dagli occhi curiosi di quei giovani. Insomma, questo è un film che dissotterra la memoria della prima guerra “ripresa” dall’immagine in movimento (che, ricordiamolo, aveva pochissimi anni di sperimentazione alle spalle) quindi è di per sé archeologia dei dispostivi mediali da subito chiamati in causa: “la guerra non può staccarsi dallo spettacolo magico perché proprio la produzione di questo spettacolo è il suo scopo“, scrive Paul Virilio. Per il regista de Il signore degli anelli e King Kong, del resto, l’immagine è da sempre un terreno di esplorazione e sperimentazione costante: l’origine di ogni narrazione contemporanea associata ai miti (e agli eventi) del passato.

Siamo quindi arrivati al fronte nell’Europa continentale. Ai villaggi fantasma attraversati dall’esercito britannico e agli orizzonti di gloria delle trincee scavate in attesa dell’esercito tedesco. Ed è qui che il film opera uno scarto vertiginoso verso l’immagine del nuovo millennio: l’archivio viene riarticolato, colorizzato, innervato di computer grafica e matte painting 3D, rispettando quei volti e quei movimenti nello spazio ma attualizzando la percezione in un tempo che è anche il “presente”. Il formato diventa panoramico, il sonoro multi-traccia (potentissime le bombe che terremotano i sensi), gli effetti sonori e visivi arricchiscono l’archivio con il grande spettacolo popolare del ‘900: il cinema con le sue retoriche e i suoi codici formali diventa il vero protagonista della Storia. Peter Jackson ci immerge in un war movie classico con effetti visivi digitali, assecondando le parole dei reduci ma montandole in un’esperienza narrativa che da D. W. Griffith arrivi a Steven Spielberg, passando per David Lean. Parole come “documentario” o “found footage”, quindi, allargano sempre di più il loro campo semantico e si arricchiscono di decennio in decennio ridiscutendo ogni riflessione estetica (ed etica) sul rappresentabile. Insomma: testimoniare gli eventi cardine del XX secolo significa per forza di cose confrontarsi con i dispositivi di visione che hanno formato la memoria mediale che tutti noi riconosciamo. E allora il “cinema” – finzionalizzazione e spettacolarizzazione della storia – diventa uno dei modi più coerenti per testimoniare oggi quegli eventi immergendoli in un’esperienza estetica tutta contemporanea (che possa anche riflettere sulle guerre del XXI secolo come ontologicamente innervate dalle immagini dei media).

Ma cosa rimane di quell’atroce esperienza – “non scorderò mai quell’odore… l’odore della morte“, dice uno dei reduci mentre sullo schermo vediamo una spettrale carrellata di corpi martoriati dalle bombe –  in questa radicale rifigurazione delle immagini del passato? Rimane uno sguardo sul mondo, rimangono gli occhi di quelle persone puntati su noi spettatori, rimane un sentimento intatto. Tra quelle immagini sopravvive un fantasma di memoria, una traccia referenziale che non scompare: le parole dei reduci lo attestano, i volti umanissimi di quei ragazzi lo testimoniano, i movimenti così naturali di quei corpi scartano sempre dai simulacri digitali. Peter Jackson getta un pionieristico sguardo presente sulle immagini del passato, puntando a un’esperienza puramente visiva e sonora fusa alla tradizione del documentario didattico sugli archivi. Un ibrido paradossale che nel contempo affascina, strania, informa, commuove e crea dibattito… They Shall Not Grow Old è forse il primo blockbuster sulle immagini d’archivio mai prodotto.

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