#RomaFF13 – Who Will Write Our History, di Roberta Grossman

Nel novembre del 1940 i nazisti rinchiusero 450 mila ebrei nel ghetto di Varsavia. La storia del gruppo segreto Oyneg Shabes 

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Nel novembre del 1940 i nazisti rinchiusero 450 mila ebrei nel ghetto di Varsavia. Si stava scrivendo una delle pagine più tragiche e deplorevoli della Storia, e ad essa il gruppo segreto Oyneg Shabes (“La gioia del Sabato” in yiddish), composto da giornalisti, ricercatori e capi della comunità ebraica cittadina, decise di rispondere letteralmente per le righe. Guidati dallo storico Emanuel Ringelblum, il gruppo volle combattere le menzogne della propaganda tedesca contro di loro con carta e penna, testimoniando i soprusi ai loro danni, prendendo nota di ogni vile gesto, commissionando diari, saggi, poesie e canzoni, tutto per documentare le atrocità naziste e tramandarle ai posteri. Sono loro gli eroi protagonisti del documentario scritto e diretto da Roberta Grossman, presentato alla 13esima Festa del Cinema di Roma come Evento Speciale. Sono loro stessi la risposta alla domanda posta dal titolo della pellicola: Who Will Write Our History.

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Attraverso immagini dei testi d’archivio, interviste e rari filmati di repertorio, sovrapposte a ricostruzioni storiche dall’impronta fortemente televisiva (la regista, d’altronde, vanta diversi lavori per la CBS e Netflix), Roberta Grossman racconta tutta la seconda guerra mondiale, dall’invasione della Polonia all’insurrezione del ’44 fino alla “liberazione” sovietica, interamente dal punto di vista degli abitanti del ghetto. Dopotutto, se ‘la storia la fanno i vincitori‘, cosa succede quando non si è né l’uno né l’altro? Abbiamo visto, infatti, tanta produzione cinematografica sul tema dell’olocausto, naturalmente, ora raccontato dai vincitori (con gli americani a dominare in termini numerici), ora dei vinti (si pensi ai recenti lavori del tedesco Oliver Hirschbiegel, come La grande caduta Elser – 13 minuti che non cambiarono la storia); eppure quella dell’Oyneg Shabes è una storia mai raccontata prima sul grande schermo, ed è sicuramente questo il primo e importante pregio del film.

Certo, si obietterà, la produzione è sempre statunitense, ad opera della “sorella d’arte” Nancy Spielberg tra l’altro, così come è americana Roberta Grossman, ma come anticipato, la “sceneggiatura vera”, alla base di quella cinematografica, è quella che prende origine direttamente dai diari dei protagonisti di questa commovente “ribellione su carta”. Sono le pagine, scritte di proprio pugno dal gruppo di Ringelblum (e lette dalle voci, tra gli altri, di Adrien Brody e Joan Allen), a scorrere continuamente sullo schermo, tra un’orrenda immagine e l’altra. Il genocidio ebraico, infatti, non si consuma solo nella tragica e per migliaia letale esperienza dei campi di concentramento, ma comincia da molto tempo prima, da quell’umiliante segregazione cittadina, narrata in tutti i suoi traumatici dettagli. E allora, per la raccontare la disgrazia umana di un popolo intero, l’Oyneg Shabes ha voluto raccogliere e proteggere, come una vera e preziosa reliquia, ogni possibile ricordo dei singoli individui, arrivando anche custodire nel proprio archivio oggetti o disegni probabilmente ininfluenti o incomprensibili per gli storici di oggi.

Quello che la Grossman, infatti, riesce ad esaltare più di ogni altro aspetto, è proprio questa volontà, infinitamente salda e ammirabile, di combattere la povertà, la fame, la perdita di ogni dignità umana, con la cultura. Ringelblum e compagni scrivono come unico appiglio per sopravvivere, ne fanno una vera ragione esistenziale, valorizzando come pochi altri hanno fatto nella storia l’importanza della tradizione scritta. E ciò che più colpisce ed emoziona è quanto ne fossero consapevoli: mentre i treni deportavano la popolazione verso le camere a gas di Treblinka e il ghetto veniva distrutto dalle fiamme, i membri di Oyneg Shabes seppellivano 60.000 pagine di documenti nella speranza che l’archivio sopravvivesse alla guerra, per l’appunto ben consci di quanto fossero rilevanti. Il dato più straordinario della vicenda, inoltre, è che dei pochissimi membri che conoscevano la loro ubicazione, solo uno è miracolosamente sopravvissuto alla guerra. L’archivio, infine, è diventato in tempi recenti patrimonio dell’UNESCO. Indubbio che mai nomina sia stata più meritata.

 

 

 

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