Antigone, di Sophie Deraspe
L’equilibrio parte da Sofocle e si muove tra la freddezza disumana della vicenda burocratica e l’eco molotov del riflesso virtuale e nella comunità, tra flash mob, street art, stories di rivolta
L’operazione di innesco dinamitardo del testo di Sofocle, Sophie Deraspe la attua su una storia che ricorda da vicino quella di Fredy Villanueva, l’immigrato onduregno ucciso a pistolettate dalla polizia canadese in un parcheggio a Montreal, nel 2008 – una vicenda che portò ad una serie di proteste di strada in Quebec, e che la cineasta aggancia nel suo film innanzitutto per la loro capacità di farsi canale alternativo di informazione, condivisione e connessione, attraverso il linguaggio instant delle stories e della schizofrenia citizen di youtube, videomontaggi improvvisati di sostegno al calvario processuale della protagonista e di sdegno nei confronti della morte del fratello, Étéocle, affiliato alla gang degli Habibi, retti su inni di ribellione hip hop o addirittura su un tipico brano scorticante di Colin Stetson (!). Per Deraspe appare da subito fondamentale il lavoro su questo footage pixelato, traccia digitale e dispersa di una richiesta di giustizia ancorata ad una verità sgranata (Étéocle reggeva in mano il suo smartphone, e non un’arma).
Ma per l’adolescente Antigone, immigrata a Montreal al seguito dei 3 fratellini e della nonna dopo l’omicidio dei genitori durante la guerra che infuria nel suo Paese, ora è importante salvare il fratello ancora vivo, Polynice, piccolo spacciatore arrestato nel corso della stessa retata – ed è qui che il film recupera l’urgenza e il senso prettamente politico della tragedia di partenza, al di là del gioco di rimandi tra personaggi e snodi narrativi (l’indovino Tiresia diventa una psichiatra non vedente): Deraspe contrappone allora la disumana freddezza e austerità delle celle e del sistema giudiziario e rieducativo alla ingenua e disperata vitalità della protesta social dei giovani vicini alla fiera resistenza di Antigone alla giustizia, fatta di flash mob con le suonerie dei telefoni dentro l’aula del tribunale, e di street art che trasforma il volto della ragazza in un’icona per magliette e striscioni.
La domanda rimane sempre quella, quanto saresti disposto a sacrificare per diventare parte della cittadinanza, per essere considerato civile, ammesso nella civiltà? Ed è pur vero che questa vita civilizzata Deraspe non ce la vende tanto bene, tra le solitudini della famiglia borghese del fidanzatino di Antigone, e l’insostenibile prepotenza delle istituzioni (l’odiosa guardia del riformatorio): in qualsiasi situazione si trovi, la ragazza è in grado di riportare colore e compassione, come le compagne di detenzione che la stupiscono imitandone tutte il taglio di capelli e il rosso della rivolta innescata dall’adolescente, mentre la nonna Ménécée porta avanti il suo sit-in quotidiano di canti popolari davanti al cancello del riformatorio.
Ecco, probabilmente, Deraspe non riesce sempre a mantenere l’equilibrio giusto tra le due modalità del suo film, tra la compostezza aberrante della vicenda burocratica e l’eco molotov del suo riflesso virtuale e nella comunità: dove al film manca la scintilla definitiva, arriva la pazzesca perfomance di Nahéma Ricci, classe 1998, di famiglia franco-tunisina, alla cui capacità di alternare fermezza ed impulsività la cineasta si affida completamente.
Titolo originale: id.
Regia: Sophie Deraspe
Interpreti: Nahéma Ricci, Rawad El-Zein, Antoine DesRochers, Sebastien Beaulac, Nour Belkhiria, Hakim Brahimi
Distribuzione: Parthénos e Lucky Red
Durata: 109′
Origine: Canada, 2019
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto al film è a cura di Simone Emiliani