#RomaFF14 – Bar Giuseppe. Incontro con Giulio Base e il cast

Bar Giuseppe di Giulio Base è alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Riflessi: il regista, Ivan Marescotti e Virginia Diop ne raccontano la genesi e i suoi temi universali alla stampa

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Il nuovo film di Giulio BaseBar Giuseppe, è alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Riflessi, accompagnato dal regista e dai protagonisti Ivano Marescotti e l’esordiente Virginia Diop.

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Quella narrata in Bar Giuseppe è una storia universale, che prende ispirazione da una delle più antiche narrazioni che fanno parte della cultura occidentale e mondiale: la vicenda di Giuseppe e Maria e della nascita di Gesù. Senza incentrarsi sull’aspetto religioso o della fede, è innegabile che ciò che è raccontato nei Vangeli si è radicato nella nostra storia, basti pensare al fatto che da 2019 anni scandiamo il tempo basandoci su quella nascita.

L’aspetto su cui il regista si è voluto concentrare, però, è la figura di Giuseppe come uomo, esule, padre, lavoratore.

Parlando del personaggio, Base ha affermato: “Questo è un film sul lavoro: Giuseppe lavora, dà lavoro e lo fa in silenzio. Nei Vangeli Giuseppe non parla mai. C’è bisogno di persone come Giuseppe: tace e lavora. In Ivano ho trovato una spalla in cui abbiamo avuto sincronia nell’affrontare la difficoltà per un attore di esprimersi senza parole”.

Viene quindi spontaneo chiedere a Marescotti come è stato per lui approcciarsi a questo personaggio, cosa ha pensato quando ha letto la sceneggiatura: “Non ho avuto idea di cosa leggevo fino a metà, anche se già a quel punto avevo deciso che dovevo fare questo film per il modo in cui è scritto. Poi: Lui si chiama Giuseppe, Lei rimane incinta e lui non l’ha toccata… e ho capito. Io sono ateo, ho visto la storia dell’uomo. Non conoscevo Giulio Base come regista, ma è stata per me una rivelazione molto positiva.”

Come più volte ha ripetuto, Base non ha voluto raccontare la storia di Giuseppe e Maria come esuli, migranti, condizione in cui lui si riconosce, avendo conosciuto la discriminazione in quanto figlio di immigrati (i genitori si trasferirono dal meridione a Torino nel dopoguerra), anche se “l’ho vissuta in maniera microbica, rispetto alla luttuosità di quanto avviene oggi”.

Ma ciò che emerge dal film è soprattutto un messaggio di speranza e di necessità di sentimenti come la compassione e la comprensione: Giuseppe ama i suoi figli anche quando si mettono contro di lui, nel suo modo silenzioso fatto di sguardi e carezze inespresse, accoglie Bikira e la sua famiglia, le dà un lavoro, ma anche affetto e la accetta, la lascia entrare nel suo bar, nella sua casa, nel suo cuore.

Virginia Diop, alla sua prima esperienza cinematografica, riassume così il suo personaggio: “Sul set ho capito davvero le sensazioni e i sentimenti che prova: l’amore che è più forte dell’amore comune, passionale, è un amore spirituale, intenso. Ciò che mi ha subito colpito del personaggio è stata la sua storia di profuga, orfana che viene adottata da piccola perché i suoi genitori sono stati uccisi dal governo, ha un passato difficile. Io non mi sono mai sentita migrante o diversa, ma a volte le persone per strada, per via delle mie caratteristiche fisiche, mi chiedono: ma di che origine sei? da che paese vieni? e io rispondo: sono italiana, sono nata a Roma”, ride. “Non dico che queste domande non possano essere fatte, solo che a volte si vedono delle caratteristiche ‘diverse’ in una persona e la si identifica come diversa, subito.”

Portare il progetto dalla carta allo schermo non è stato semplice, raccontano i produttori Samanta Antoniccola e Gennaro Coppola: “Quando Giulio ci ha raccontato l’idea che voleva realizzare, questa sfida, la abbiamo voluta subito cavalcare. Si deve però trovare un equilibrio, che ti viene solo se sei molto ispirato. Era un campo minato, è stato necessario un grosso lavoro di messa a punto iniziale e una grande capacità di scrivere per immagini cinematografiche“.

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