#RomaFF14 – Incontro con Bertrand Tavernier

Bertrand Tavernier all’incontro stampa in occasione della Festa del Cinema di Roma parla della polemica sui film Marvel, di serialità, della passione per il cinema e di educazione all’immagine.

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Penso che sia Scorsese che Coppola abbiano detto delle cose intelligenti. C’è sempre stata una differenza tra un cinema solo commerciale ed uno con ambizioni artistiche. Registi come Hawks, Ford, Lubitsch, Minnelli, hanno fatto dei film che sono stati dei trionfi artistici e nello stesso tempo hanno avuto successo commerciale. C’è differenza tra film e prodotti, come c’è differenza tra un ristorante ed una catena di fast food che non offre certo gli stessi prodotti di un ristorante. Certo questo è sempre esistito, ma gli studios erano attenti a conservare una parte di produzione di pregio, e tra i tanti film che realizzavano lasciavano comunque uno spazio riservato a film meno orientati al botteghino. Ora questi grandi produttori posseggono tutto il mercato. Per fare alcuni nomi tra i tanti, Bennett Miller sono 3 o 4 anni che non riesce a fare un film, Alexander Payne fa fatica a finire il montaggio del suo, invece la Marvel fa un film dietro l’altro…“.

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Bertrand Tavernier non la manda certo a dire ed esplicita chiaramente il suo punto di vista sulla questione del momento. Sostiene che è una tragedia e che il rischio maggiore è qualcosa di inaudito, una cosa mai esistita, la dittatura di un certo tipo di cinema. Progetti come quelli di un Kazan, Lumet, Coppola oggi farebbero fatica a trovare dei finanziatori, e questo rappresenta un pericolo. E marca anche la differenza con Netflix ed altri giganti dell’audiovisivo, che invece sviluppano film come The Irishman o Roma.

E qui si apre un discorso sulla serialità. “Io non ho mai lavorato per la televisione. Ho girato dei documentari ma erano comunque pensati per il cinema, sarebbe stato impossibile farli accettare dai direttori di rete. Ho visto alcune serie davvero eccezionali, tipo Unbelievable, e The Wire, ottimo come tutte le cose che scrive David Simon. Faccio fatica ad appassionarmi alle tante stagioni, stirano le cose per continuare un pò come facevano i romanzieri del XIX secolo, lo faceva Balzac. Alcune miniserie sono davvero magistrali. Anche l’Inghilterra può vantare una buona produzione. Sembra che l’amore per le serie debba annullare il cinema, mentre le due cose possono coesistere, può esistere Allen e la serie Big Little Lies. Mi interessa un prodotto che sia buono, qualunque sia il formato”.

Confessa di avere decine di autori di cui potrebbe dichiararsi debitore, e continua a scoprirne di nuovi giorno per giorno. Ora, ad esempio, sta leggendo un libro sui minatori in sciopero nel 1941 e della violenta reazione dello stato. Proprio per coltivare la passione per la lettura predilige circolare con i mezzi pubblici. “Sono prima di tutto un cineasta che ama il cinema degli altri. Anche Tarantino o Joe Dante sono dei cinefili, non è una novità. Ho fatto un film di 11 ore sul cinema francese in cui mostro come negli anni ’30 ci fossero registi che difendevano il cinema degli altri. Persone arrivate al cinema perchè adoravano il cinema, Coppola ha deciso di fare cinema dopo aver visto Ottobre di Ėjzenštejn. Io dopo aver iniziato a fare cinema ho continuato a vederlo, non mi sono fatto prendere dalla megalomania, come succede in tanti casi. I registi devono tanto lottare per i propri film, che poi parlano solo di quello. Io preferisco parlare a qualcuno di un film che ho appena scoperto o di un film che adoro”.

Il regista francese racconta poi di essere quello che ha portato sul grande schermo il maggior numero di personaggi riferibili all’ambiente scolastico, e di quanto l’educazione all’immagine sia importante per i giovani di oggi, visto che sono letteralmente bombardati. Cita Diario di un maestro di Vittorio De Seta, parla dell’importanza che la scuola deve attribuire al cinema come arte, dell’importanza di insegnare cinema, un concetto cruciale ma che ha trovato un accoglienza molto tiepida nelle istituzioni in passato,  e pagato un atteggiamento conservatore verso le immagini. Un approccio che solo in tempi recenti ha trovato una nuova via, con la cosapevolezza di dover spiegare come un’immagine può essere letta e manipolata, pone dei problemi enormi, è la dittatura del presente. “Il problema non è se insegnare cinema nelle scuole, semmai è quello di educare gli spettatori a guardare ad esempio un film in bianco e nero, con i ragazzi abituati alle clip ed alla pubblicità. Quello che è vecchio non è più interessante, è una situazione drammatica. A Lione organizziamo appositamente il Festival Lumière e proponiamo i classici. Una sera in sala c’erano tanti liceali per un film del 1932 ed erano stupiti. Tanti presidi e professori invece di arrendersi alla paura devono lottare per sconfiggere questo problema, una lotta primordiale che riguarda anche la letteratura e la filosofia.” 

 

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