#RomaFF14 – Incontro con Oliver Assayas

Oliver Assayas è stato ospite oggi alla Festa Del Cinema di Roma per affrontare ancora il tema del passato e del presente, secondo la sua esperienza di critico, cineasta e spettatore

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Se guardo un film con gli occhi di un regista, vuol dire che va male, se lo guardo con gli occhi di un critico, ancora peggio. Io voglio godermi lo spettacolo con gli occhi di uno spettatore: un film deve rapirmi.
Oliver Assayas è stato ospite oggi alla Festa Del Cinema di Roma per affrontare ancora il tema del passato e del presente, secondo la sua esperienza: la mia carriera è iniziata come critico cinematografico e sono stato profondamente influenzato dalla storia francese. Tanti dei critici con cui lavoravo o che conoscevo sono poi diventati dei registi importanti. Quando ho iniziato a scrivere, ero tra i più giovani, ma la mia voglia di imparare e capire come andava fatto il lavoro, mi ha portato fin qui. Credo che scrivere sul cinema sia anche un modo per iniziare a comprenderlo, poi però bisognerebbe diventare più liberi e seguire la propria ispirazione. Comunque credo che ogni tipo di arte debba anche essere raccontata e scrivere sul cinema, per me serve a comprenderlo meglio.
Ambire a diventare registi dopo aver fatto i critici è qualcosa che via via si sta perdendo. Anche il cinema d’autore a basso budget non è più ricercato come negli anni Ottanta, quando l’ideale della Nouvelle Vague era ancora in fermento.

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La Nouvelle Vague è più di un periodo storico, è un’idea che tutt’ora esiste per chiunque voglia esprimere la propria arte liberamente. Ha definito il fatto che un regista avrebbe potuto lavorare come uno scrittore di romanzi: è possibile fare film con meno soldi, con più libertà, reinventando il processo dell’arte cinematografica. La cosa importante della Nouvelle Vague non è solo il fatto che abbia cambiato il cinema francese, ma che abbia anche avviato le carriere di tanti registi importanti per la storia del cinema occidentale. Quindi cosa rimane oggi della Nouvelle Vague? Tutto. 
Questo è un periodo in cui il cinema sta assumendo forme diverse, come ogni cosa, si evolve e si trasforma. Non solo le concezioni a riguardo sono cambiate, ma anche il modo di fruire cinema è diverso. Negli anni Ottanta, con l’arrivo della televisione in casa di chiunque, ci si preoccupava per le sale e per i giovani che sempre meno si sarebbero ritrovati lì per vivere un’esperienza collettiva. Oggi, dopo l’arrivo di Netflix, le domande e le considerazioni sono sempre le stesse: “niente più film sul grande schermo? Questi giovani non conoscono i classici che hanno segnato la storia. Vedere un’opera sullo schermo di uno smartphone quanto rovina l’esperienza? Questi giovani d’oggi non conoscono.”
La questione della sala per me è qualcosa di primordiale, si diceva che a causa della Tv, al cinema c’erano meno spettatori. Ma le sale continuano ad esserci tutt’ora e gli spettatori anche. In Francia ci sono sale in costruzione e per quello che io vedo, ai ragazzi piace ancora godersi un film al cinema, stare con gli amici e magari uscire anche di casa: è sicuramente uno dei migliori modi per intrattenersi in compagnia a basso prezzo. A me non interessa che questi giovani tanto criticati, si guardino intere filmografie di classici storici, io vorrei semplicemente che guardassero film e si lasciassero ispirare. E poi con le possibilità che internet ci concede, sicuramente vedono molte più cose di me.
Negli ultimi anni la diffusione del cinema via internet ha portato molta più conoscenza a riguardo, ma anche il fatto che ci sia sempre più gente a scrivere le proprie opinioni. Tutti hanno la possibilità di farlo gratuitamente, di conseguenza aumentano sia informazioni sia approfondimenti rispetto a quando si potevano leggere le uniche riviste in circolazione.
Per quanto riguarda la serializzazione, credo che permetta di lavorare il un formato molto più lungo ed io grazie a questo, ho potuto ideare Carlos. Quando ho dovuto farne una versione più corta per la sala, non mi soddisfaceva nonostante vedessi la mia opera più come un lungo film che come una serie.
Quindi si, apprezzo la serialità, ma fino al punto in cui non ti distrae dall’intera vita giornaliera.
Gli anni ’80 sono stati anni particolari per il cinema, si scoprivano film dei quali non si conosceva minimamente l’esistenza prima di allora. Via via in Occidente andava diffondendosi il cinema orientale e viceversa. Anche la Cina che stava riprendendosi dalla guerra fredda, era finalmente più libera di creare e diffondere la propria arte.
Quando sono stato a Taiwan nell’85, ancora si respirava l’aria della guerra. Intanto però l’arte si liberava lentamente ed io scoprivo che c’era una vera e propria storia del cinema orientale, un mondo totalmente diverso da quello che conoscevo. Era bellissimo vedere che anche lì avevano il loro modo di raccontare, con uno stile, una sintassi e delle estetiche così diverse, che poi avrebbero influenzato il cinema occidentale degli anni a venire. Allora iniziavano ad emergere nuovi registi orientali e in un certo senso si trattava sempre di Nouvelle Vague: si raccontavano storie ispirate dalle atmosfere di Hong Kong o Taiwan, dalle loro luci e da quella cultura che al tempo sembrava così lontana.
Ancora oggi purtroppo la censura in Cina è potente ed è anche per questo che si vede poco cinema d’autore proveniente da lì. Credo che quelli fossero i tempi dell’unificazione tra cinema orientale ed occidentale: questo era il grande evento a cui assistevo.

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