#RomaFF14 – Le meilleur reste à venir, di de La Patellière-Delaporte

Non tutte le situazioni sono a fuoco, ma il film riesce spesso ad essere in felice equilibrio tra commedia e dramma, trainato anche dagli ottimi Fabrice Luchini e Patrick Bruel

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Dalla nascita alla morte. Il duo de La Patellière-Delaporte con Le meilleur reste à venir realizza un altro film sull’amicizia dopo Cena tra amici. Lì uno spazio chiuso, qui un viaggio. Tra Biarritz e l’India. Ma anche nei luoghi sentimentali dei due protagonisti: un padre con cui si sono tagliati da tempo i ponti; una moglie e una figlia con cui non sembra esserci più nulla da dirsi; una ragazza musumulmana che ha affrontato un cancro.

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Arthur (Fabrice Luchini) e César (Patrick Bruel) sono due amici di vecchia data che non si vedono da tempo. Dopo un esame medico a uno dei due viene diagnosticata una malattia terminale. E uno è convinto che è l’altro ad essere in fin di vita e quindi cerca di passarci più tempo possibile.

Le meilleur reste à venir trova molteplici soluzioni attorno a un malinteso. Non c’è solo un’abile scrittura che qui però rischia a tratti di diventare limitante. Ma riesce ad essere intenso e credibile perché i due protagonisti, Fabrice Luchini e Patrick Bruel (quest’ultimo già tra i protagonisti in Cena tra amici nei panni della persona che sta per diventare padre) riescono a rimbalzarsi la malattia, facendo vedere che è sempre l’altro ad avere bisogno. Oltre ad assoli di recitazione di gran classe (l’incontro con il padre di César, lo sfogo di Arthur verso una studentessa dopo una sua domanda), il film riesce a trovare un equilibrio tra commedia e dramma. Una variazione tra la vita e la morte. Potrebbe essere visto come il remake di Truman di Cesc Gay. Anche qui un amico raggiunge l’altro per passarci gli ultimi giorni insieme. Ma anche con il respiro vitale di Quasi amici e quell’euforia sulle cose da fare prima di morire che richiama una bella e troppo dimenticata comedia statunitense di Rob Reiner, Non è mai troppo tardi con Jack Nicholson e Morgan Freeman.

Forse non tutte le situazioni sono a fuoco. Soprattutto quando l’equivoco è tirato al punto-limite. Come nel dialogo tra Arthur e l’ex-moglie al ristorante. O in delle scene come quella della lettera che manda su tutte le furie uno dei bersagli preferiti, un suo collega. Dove il gioco verbale sembra trascinarsi eccessivamente. Il momento più riuscito invece è al ristorante in cui fanno delle esercitazioni per rimorchiare e si accende un sipario irresistibile con il cameriere che li scambia per una coppia gay.

Quando Le meilleur reste à venir si lascia andare diventa contagioso. La partita di ping-pong a casa, il cane, il video a caccia di elefanti con la figlia di Arthur. Tutti quei momenti apparentemente banali. Dove invece vengono ritagliati ulteriori frammenti della vita da vivere. E il finale diventa emozionante. C’è ancora una lettera. Ma la scrittura lì dentro stavolta si dissolve e si propaga lì intorno. Il passato di un’amicizia. Il futuro imprevisto di un’altra vita che sta per cominciare. Si, è un’altra nascita. Non c’è l’attesa di Cena tra amici. Ma qui si può ricominciare subito. E siamo dalle parti di Nakache-Toledano. C’est la vie. Ed è bella.

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