#RomaFF14 – Military Wives, di Peter Cattaneo

Tra Sister Act e Pitch Perfect, Peter Cattaneo ritorna con una divertente quanto commossa storia “corale”, sposando pienamente la convenzione ma riuscendo a regalare comunque attimi di unicità

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Tratto da una storia vera e presentato in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma, il film di Peter Cattaneo racconta di come un gruppo di donne, mogli di soldati in servizio in Afghanistan, abbia formato il primo coro delle Military Wives, per l’appunto, ispirando inconsciamente un vero e proprio movimento nazionale. Nel film tutto nasce dall’iniziativa di Kate (Kristin Scott Thomas), moglie del colonnello, che per superare la morte del figlio (anch’egli soldato) comincia a interessarsi alle attività sociali di tutte le altre “mogli” della base militare, capitanate da Lisa (Sharon Horgan). Se prima del suo arrivo, tali attività consistevano più che altro in normali incontri (soprattutto a base di alcool) per passare il tempo, la donna finisce per convincerle a buttarsi nel canto corale, anche se non con una certa resistenza, soprattutto da parte di Lisa che poco sopporta i suoi modi scrupolosi e dispotici.

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Dopo undici anni dal suo ultimo film, The Rocker – Il batterista nudo, il ritorno di Peter Cattaneo appare segnato, sulla carta, da un richiamo al passato, ossia a quel Full Monty che nel 1997 entusiasmò critica e pubblico, regalandogli (all’esordio, tra l’altro) una nomination all’Oscar per la miglior regia. Un successo incredibile che però, nelle sue (sole) tre opere successive, non sembra essersi più ripetuto, almeno non con quella portata. Le “military wives”, quindi, non saranno mosse da un necessità economica come per gli “squattrinati organizzati” capeggiati da Robert Carlyle, ma ad essere messa in scena è ancora una commedia “corale”, ancora la storia di un’amicizia che si forma e si consolida, sempre attraverso la musica e l’arte, strumenti attraverso cui i protagonisti riescono ad identificarsi insieme ed esprimere le proprie comuni frustrazioni.

Durante la visione di Military Wives, si capisce però che il vero modello di riferimento è Sister Act (citato esplicitamente, non a caso, a inizio pellicola), non solo per la formazione di un coro fatto di assolute principianti o per l’opera di “svecchiamento” nella didattica e nella scelta del repertorio, ma anche per l’ambiente rigoroso in cui le donne vivono, costrette a dover sempre mantenere un’immagine “appropriata”, qui per non rovinare la reputazione dell’esercito (anche se, in questo caso, sembra importare davvero solo ad una di loro). Un punto di partenza di “culto” che si sviluppa poi nelle dinamiche tante care a film e serie tv sui canti corali di ultima generazione, da Glee Pitch Perfect, come il difficoltoso periodo di aggregazione, in cui l’individualità di alcuni elementi finisce man mano per cedere allo spirito di gruppo; oppure la ragazza timida che rivela di avere un’insospettabile gran voce; non manca naturalmente l’esibizione finale (stavolta preannunciata in tempi forse troppo rapidi) che misurerà il loro affiatamento e insieme fungerà da climax dei loro percorsi personali, a cui si arriverà sempre con una profonda crisi poco prima di salire sul palco (ovviamente senza aver mai avuto l’impressione che abbiano davvero provato per l’evento).
Cattaneo procede quindi in maniera estremamente convenzionale ma, allo stesso tempo, con evidente esperienza, con i giusti ritmi, retti principalmente dalle due ottime attrici protagoniste, la rigida Kristin Scott Thomas e la disordinata Scott Horgan. È lo scontro tra i loro modi opposti di affrontare la vita (e le proprie emozioni) a rappresentare il maggior conflitto nel gruppo, a dare i tempi comici e infine a muovere l’intera trama. A stentare, rispetto agli  altri precedenti di riferimento, è proprio la “coralità”, paradossalmente, con personaggi secondari caratterizzati in maniera poco incisiva, almeno nella prima parte.

Solo una volta superate le titubanze iniziali e con esse i diversi cliché di rito, Cattaneo sembra infatti avere l’opportunità di far esplodere finalmente ciò che differenzia le “Wives” dalle suore/liceali/aspiranti popstar già citate, ossia la loro appartenenza, quel “Military” nel nome che nasconde in realtà gli orrori della guerra, la precarietà dei loro nuclei famigliari. Quello spettro che vogliono dimenticare, da cui inizialmente si vogliono quantomeno distrarre e che Cattaneo, nella seconda parte, fa invece non solo irrompere duramente nella fin lì scanzonata commedia, ma addirittura lo rende protagonista di tutta l’esecuzione artistica delle donne. Ciò che all’inizio nasce come semplice svago, con intenti soprattutto  egoistici, si trasforma in commovente esigenza, di raccontare una condizione decisamente unica, un’angoscia di fondo piuttosto sottovalutata se non “dimenticata”, appunto. E insieme alle “mogli” protagoniste che arrivano a conquistarsi la dovuta ribalta, un film che fino a quel momento non stava brillando, riesce così a godere di luce propria.

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